SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
14 novembre 2024 (*)
« Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 2, lettera j), articoli 5, 8 e 9 – Nozione di “consumatore medio” – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Nozione di “pratica commerciale aggressiva” – Vendita abbinata di un finanziamento personale e di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento – Orientamento delle informazioni fornite al consumatore – Nozione di “framing” (incorniciamento) – Pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente a un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento – Assenza di un periodo di riflessione tra la sottoscrizione del contratto di finanziamento e quella del contratto assicurativo – Direttiva (UE) 2016/97 – Articolo 24 »
Nella causa C‑646/22,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanza del 10 ottobre 2022, pervenuta in cancelleria il 13 ottobre 2022, nel procedimento
Compass Banca SpA
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
nei confronti di:
Metlife Europe Dac,
Metlife Europe Insurance Dac,
Europ Assistance Italia SpA,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da I. Jarukaitis, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, E. Regan, e Z. Csehi (relatore), giudici,
avvocato generale: N. Emiliou
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Compass Banca SpA, da F. Caronna, D. Gallo, E.A. Raffaelli, M. Siragusa, E. Teti, G. Vercillo e A. Zoppini, avvocati;
– per la Europ Assistance Italia SpA, da P. Fattori, A. Lirosi e A. Pera, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da A. Collabolletta e P. Gentili, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da D. Recchia, N. Ruiz García e H. Tserepa‑Lacombe, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 aprile 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera j), e degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22), nonché dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa (GU 2016, L 26, pag. 19).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Compass Banca SpA e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia) (in prosieguo: l’«AGCM»), in merito alle decisioni di quest’ultima relative a una pratica commerciale di tale società.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2005/29
3 I considerando 7, 11, 13, 14, 17, 18, e 21 della direttiva 2005/29 enunciano quanto segue:
«(7) La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. (...)
(...)
(11) L’elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso la presente direttiva dà luogo a un elevato livello comune di tutela dei consumatori. La presente direttiva introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Essa stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive, che attualmente non sono disciplinate a livello comunitario.
(...)
(13) Per conseguire gli obiettivi comunitari mediante l’eliminazione degli ostacoli al mercato interno, è necessario sostituire le clausole generali e i principi giuridici divergenti attualmente in vigore negli Stati membri. Il divieto unico generale comune istituito dalla presente direttiva si applica pertanto alle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Per sostenere la fiducia da parte dei consumatori il divieto generale dovrebbe applicarsi parimenti a pratiche commerciali sleali che si verificano all’esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra un professionista ed un consumatore o in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione. Il divieto generale si articola attraverso norme riguardanti le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive.
(14) È auspicabile che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientrino quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente. (...) Il fatto che la presente direttiva sia impostata sull’armonizzazione completa non osta a che gli Stati membri precisino nella legislazione nazionale le principali caratteristiche di particolari prodotti quali, per esempio, gli oggetti da collezione o i prodotti elettrotecnici, qualora l’omissione di tale precisazione avesse importanza decisiva al momento dell’invito all’acquisto. (...)
(...)
(17) È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva.
(18) È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE [del Consiglio, del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di pubblicità ingannevole (GU 1984, L 250, pag. 17)], esaminare l’effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia, ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. (...) La nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie.
(...)
(21) Le persone o le organizzazioni che in base alla legislazione nazionale siano considerate titolari di interesse legittimo nel caso di specie devono disporre di mezzi di impugnazione contro le pratiche commerciali sleali dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un’autorità amministrativa competente a decidere dei reclami o a promuovere un’adeguata azione giudiziaria. Pur spettando al diritto nazionale stabilire l’onere della prova, è appropriato attribuire agli organi giurisdizionali e alle autorità amministrative il potere di esigere che il professionista fornisca prove sull’esattezza delle allegazioni fattuali che ha presentato».
4 L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Scopo», dispone quanto segue:
«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».
5 Ai sensi dell’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni»:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(...)
b) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista;
(...)
d) “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;
e) “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso;
(...)
j) “indebito condizionamento”: lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole;
k) “decisione di natura commerciale”: una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto. Tale decisione può portare il consumatore a compiere un’azione o all’astenersi dal compierla;
(...)».
6 L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», ai paragrafi 4 e 9, così prevede:
«4. In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici.
(...)
9. In merito ai “servizi finanziari” definiti alla direttiva 2002/65/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU 2002, L 271, pag. 16)] e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza».
7 L’articolo 4 della direttiva 2005/29, intitolato «Mercato interno», dispone quanto segue:
«Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva».
8 L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Divieto delle pratiche commerciali sleali», contenuto nel capo 2 di quest’ultima, intitolato «Pratiche commerciali sleali», è così formulato:
«1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate.
2. Una pratica commerciale è sleale se:
a) è contraria alle norme di diligenza professionale,
e
b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
(...)
4. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:
a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7
o
b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9.
5. L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».
9 La sezione 1, intitolata «Pratiche commerciali ingannevoli», di tale capo 2, comprende gli articoli 6 e 7 di detta direttiva. L’articolo 6, intitolato «Azioni ingannevoli», al paragrafo 1, lettera e), così prevede:
«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
(...)
e) la necessità di una manutenzione, (...)».
10 L’articolo 7 della medesima direttiva, intitolato «Omissioni ingannevoli», ai paragrafi 1 e 2 enuncia quanto segue:
«1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
2. Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
(...)».
11 La sezione 2, intitolata «Pratiche commerciali aggressive», del capo 2 della direttiva 2005/29, contiene gli articoli 8 e 9 di quest’ultima.
12 Ai sensi dell’articolo 8 della medesima direttiva, intitolato «Pratiche commerciali aggressive»:
«È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».
13 L’articolo 9 di detta direttiva, intitolato «Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento», così dispone:
«Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:
a) i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;
b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale;
c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;
d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;
e) qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa».
14 L’articolo 11 della stessa direttiva, intitolato «Applicazione», prevede al paragrafo 1, primo comma, quanto segue:
«Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori. (...)».
15 I punti da 24 a 31 dell’allegato I della direttiva 2005/29, intitolato «Pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali», elencano e definiscono le «[p]ratiche commerciali aggressive» come segue:
«24) Creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto.
25) Effettuare visite presso l’abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale.
26) Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatti salvi l’articolo 10 della direttiva 97/7/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU 1997, L 144, pag. 19)] e [la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31) e la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37)].
27) Imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non potrebbero ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la validità della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall’esercizio dei suoi diritti contrattuali.
28) Includere in un messaggio pubblicitario un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati. Questa disposizione non osta all’applicazione dell’articolo 16 della direttiva 89/552/CEE, [del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU 1989, L 298, pag. 23)].
29) Esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo nel caso dei beni di sostituzione di cui all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 97/7/CE (fornitura non richiesta).
30) Informare esplicitamente il consumatore che se non acquista il prodotto o servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista.
31) Dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti:
– non esiste alcun premio né vincita equivalente,
oppure
– qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore».
Direttiva 2016/97
16 L’articolo 24 della direttiva 2016/97, intitolato «Vendita abbinata», ai paragrafi 3 e 7, dispone quanto segue:
«3. Se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi offre al cliente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente. Il presente paragrafo non si applica se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un servizio o attività di investimento quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 2), della direttiva 2014/65/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU 2014, L 173, pag. 349)], a un contratto di credito quale definito all’articolo 4, punto 3), della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 60, pag. 34)] o a un conto di pagamento quale definito all’articolo 2, punto 3), della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base (GU 2014, L 257, pag. 214)].
(...)
7. Gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni supplementari più rigorose o intervenire in casi specifici per vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori».
Diritto italiano
Codice del Consumo
17 L’articolo 20 del decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (supplemento ordinario alla GURI n. 235 dell’8 ottobre 2005, in prosieguo: il «codice del consumo»), che ha recepito la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), dispone quanto segue:
«Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori».
18 L’articolo 24 di tale codice, intitolato «Pratiche commerciali aggressive», che recepisce le prescrizioni di cui all’articolo 8 della direttiva 2005/29, così prevede:
«1. È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
(…)».
Decreto legislativo del 7 settembre 2005, n. 209
19 L’articolo 120-quinquies del decreto legislativo del 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle assicurazioni private (supplemento ordinario alla GURI n. 239 del 13 ottobre 2005), intitolato «Vendita abbinata», è così formulato:
«1. Il distributore che propone un prodotto assicurativo insieme a un prodotto o servizio accessorio diverso da una assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, informa il contraente dell’eventuale possibilità di acquistare separatamente le due componenti e fornisce una descrizione adeguata delle diverse componenti dell’accordo o del pacchetto e i giustificativi separati dei costi e degli oneri di ciascuna componente.
2. Nelle circostanze di cui al comma 1 e quando il rischio o la copertura assicurativa derivanti dall’accordo o dal pacchetto proposto a un contraente sono diversi dalle componenti considerate separatamente, il distributore di prodotti assicurativi fornisce una descrizione adeguata delle diverse componenti dell’accordo o del pacchetto e del modo in cui la loro interazione modifica i rischi o la copertura assicurativa.
3. Se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da una assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi offre al contraente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente. Il presente comma non si applica se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un servizio o attività di investimento quali definiti all’articolo 1, comma 5, del testo unico dell’intermediazione finanziaria, a un contratto di credito quale definito all’articolo 120-quinquies, comma 1, lettera c), del testo unico bancario o a un conto di pagamento quale definito all’articolo 126-decies del testo unico bancario.
4. Nei casi di cui ai commi 1 e 3, il distributore di prodotti assicurativi specifica al contraente i motivi per cui il prodotto assicurativo che è parte del pacchetto complessivo o dello stesso accordo è ritenuto indicato a soddisfare le richieste e le esigenze del contraente medesimo.
5. Nei casi di cui ai commi 1 e 3, in relazione all’obiettivo di protezione degli assicurati, l’[Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) (Italia)], con riferimento all’attività di distribuzione assicurativa, può applicare le misure cautelari e interdittive previste dal presente codice, ivi incluso il potere di vietare la vendita, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, di una assicurazione insieme a un servizio o prodotto diverso dall’assicurazione indipendentemente dal fatto che l’accessorietà afferisca all’assicurazione o al servizio o prodotto diverso dall’assicurazione, quando tale pratica sia dannosa per i consumatori. Con riferimento ai prodotti di investimento assicurativi, i suddetti poteri sono esercitati da IVASS e [dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB)], coerentemente con le rispettive competenze.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla distribuzione di prodotti assicurativi che offrono copertura per diversi tipi di rischio.
7. Sono fatte salve le previsioni del Codice del Consumo (...), ove applicabili (…)».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
20 La Compass Banca, con sede in Italia, ha proposto ai suoi clienti, tra il gennaio 2015 e il luglio 2018, di sottoscrivere diversi finanziamenti personali e prodotti assicurativi che prevedevano la copertura di determinati rischi senza un necessario collegamento con tali finanziamenti. Dall’ordinanza di rinvio risulta che, pur non essendo la sottoscrizione di una polizza assicurativa un presupposto per la concessione di un finanziamento personale, essa veniva comunque proposta in abbinamento con tale finanziamento.
21 Il 13 settembre 2018 l’AGCM ha avviato un procedimento al fine di accertare se detta pratica commerciale fosse «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29.
22 Nel corso di tale procedimento, la Compass Banca ha presentato una proposta di impegni recante una serie di misure specifiche volte a rendere più chiara al consumatore la non obbligatorietà della sottoscrizione di un’assicurazione non collegata a un finanziamento personale. Tali misure comprendevano l’estensione alla totalità dei clienti di un diritto di recesso dal contratto di assicurazione incondizionato e privo di effetto sul contratto di finanziamento. Viceversa, la Compass Banca ha respinto la richiesta dell’AGCM volta a prevedere a favore dei clienti un periodo di riflessione di sette giorni tra la data di sottoscrizione del contratto di finanziamento e quella di sottoscrizione del contratto assicurativo. Essa ha ritenuto tale misura sproporzionata e asimmetrica, in quanto non si applicava a tutti i concorrenti.
23 L’11 marzo 2019 la Compass Banca ha depositato una nuova proposta di impegni contenente ulteriori misure destinate, a suo avviso, a produrre un effetto analogo all’introduzione di un periodo di riflessione di sette giorni richiesto dall’AGCM, come l’obbligo di contattare i suoi clienti sette giorni dopo la stipula del contratto di assicurazione per chiedere loro conferma dell’intenzione di mantenere la polizza assicurativa sottoscritta nell’ambito di tale contratto, aggiungendo al contempo che essa avrebbe coperto il costo del premio di assicurazione per il periodo corrispondente a tali sette giorni.
24 Con decisione del 2 aprile 2019, confermata il 3 luglio 2019, l’AGCM ha respinto tale proposta di impegni.
25 Con decisione del 27 novembre 2019, comunicata alla Compass Banca il 23 dicembre 2019, l’AGCM ha constatato che tale società aveva adottato una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, consistente nell’«abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito». Essa ha vietato la continuazione di detta pratica e ha irrogato alla Compass Banca una sanzione pecuniaria di importo pari a EUR 4 700 000.
26 La Compass Banca ha proposto un ricorso avverso le decisioni dell’AGCM menzionate ai punti 24 e 25 della presente sentenza dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia), il quale con sentenza n. 9516/2021 lo ha respinto.
27 La Compass Banca ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio.
28 La Compass Banca sostiene che l’AGCM ha considerato la sua pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29, per il solo fatto che tale pratica consisteva nella vendita abbinata di finanziamenti personali e prodotti assicurativi, senza fornire la prova effettiva di tale carattere «aggressivo», alla luce delle caratteristiche specifiche di detta pratica o delle circostanze del caso di specie. La Compass Banca ne deduce che l’AGCM ha proceduto ad un’inversione dell’onere della prova, ingiustificata e inaccettabile, obbligandola a dimostrare che la sua pratica commerciale non è, in realtà, «aggressiva», ai sensi di tale direttiva.
29 L’AGCM sostiene che, con la vendita abbinata di finanziamenti personali e prodotti assicurativi, la Compass Banca ha condizionato e limitato considerevolmente la libertà di scelta dei suoi clienti. Essa constata che la Compass Banca non ha, in particolare, fornito informazioni ai propri clienti sulla natura facoltativa del prodotto assicurativo, e aggiunge che una simile pratica non sarebbe stata considerata «aggressiva» se fosse stato concesso ai clienti interessati un periodo di riflessione di sette giorni tra la data di sottoscrizione del contratto di finanziamento personale e la data del contratto relativo al prodotto assicurativo.
30 Il giudice del rinvio si chiede, anzitutto, se la nozione di «consumatore medio», ai sensi della direttiva 2005/29, attribuisca sufficiente importanza alla teoria della «razionalità limitata», la quale esige la necessità di una maggiore tutela dei consumatori. Secondo tale teoria, le persone agiscono spesso senza disporre di tutte le informazioni necessarie. Pertanto, e nella misura in cui i consumatori sarebbero segnatamente soggetti a distorsioni denominate, dalle scienze cognitive, di «incorniciamento» (framing), questi ultimi potrebbero modificare le loro preferenze secondo le modalità di presentazione delle offerte contrattuali che vengono loro fatte e, di conseguenza, prendere decisioni irrazionali rispetto a quelle che verrebbero adottate da una persona normalmente informata, nonché ragionevolmente attenta ed avveduta.
31 Esso si chiede poi se la pratica di cui trattasi nel procedimento principale debba essere considerata una pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, quando le offerte commerciali fatte ai consumatori per un contratto di finanziamento e un prodotto assicurativo siano presentate con la distorsione dell’«incorniciamento» (framing), in modo da far credere loro che la concessione di un finanziamento personale sia subordinata alla sottoscrizione di un’assicurazione.
32 Infine, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97, relativo alla vendita abbinata di prodotti assicurativi e altri prodotti, osti a che l’AGCM vieti una pratica commerciale come quella seguita dalla Compass Banca.
33 In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la nozione di consumatore medio di cui alla direttiva [2005/29] inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto – per la sua elasticità ed indeterminatezza – non debba essere formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza e di conseguenza rimandi non solo alla nozione classica dell’homo oeconomicus ma anche alle acquisizioni delle [teorie] sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscono spesso riducendo le informazioni necessarie con decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento ed avveduto[,] acquisizioni che impongono una esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi.
2) Se possa essere considerata di per sé aggressiva una pratica commerciale nella quale, a causa dell’incorniciamento delle informazioni (framing)[,] una scelta possa apparire come obbligata e senza alternative tenendo conto dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [2005/29] che considera ingannevole una pratica commerciale che in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio “anche nella sua presentazione complessiva”.
3) Se la direttiva [2005/29] giustifichi il potere dell’[AGCM] (una volta rilevato il pericolo di condizionamento psicologico legato[, in primo luogo,] allo stato di bisogno in cui normalmente versa chi chiede un finanziamento, [in secondo luogo,] alla complessità dei contratti sottoposti alla firma del consumatore, [in terzo luogo,] alla contestualità dell’offerta presentata in abbinamento, [in quarto luogo,] alla brevità dei tempi concessi per la sottoscrizione dell’offerta), di prevedere una deroga al principio della possibilità di abbinamento tra vendita di prodotti assicurativi e vendita di prodotti finanziari non connessi imponendo uno spazio temporale di 7 giorni tra le firme dei due contratti.
4) Se, in relazione a tale potere repressivo delle pratiche commerciali aggressive, la direttiva [2016/97], ed in specie l’articolo 24[,] paragrafo 3 della stessa, osti all’adozione di un provvedimento dell’[AGCM] adottato sulla base degli articoli 2, lettere d) e j), 4, 8 e 9 della direttiva [2005/29] e della normativa nazionale di recepimento (...) dopo il rigetto di una istanza di impegni a seguito del rifiuto di una società di servizi di investimento, nel caso di vendita abbinata di un prodotto finanziario ed un prodotto assicurativo non connesso al primo – ed in presenza di un pericolo di condizionamento del consumatore legato alle circostanze del caso concreto desumibili anche dalla complessità della documentazione da esaminare – di concedere al consumatore uno spatium deliberandi di 7 giorni fra la formulazione della proposta abbinata e la sottoscrizione del contratto assicurativo.
5) Se il considerare pratica aggressiva il mero abbinamento di due prodotti finanziari e assicurativi potrebbe finire per risolversi in un atto di regolazione non consentito e non finirebbe per addossare sul professionista (e non sull’AGCM, come dovrebbe essere) l’onere (difficile da assolvere) di dimostrare che non si tratta di pratica aggressiva in violazione della direttiva [2005/29] (tanto più che la direttiva citata non consente agli Stati membri di adottare misure più restrittive di quelle da essa definite, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori) o se invece tale inversione dell’onere della prova non sussista purché, sulla base di elementi oggettivi, sia ritenuto il concreto pericolo di un condizionamento del consumatore bisognoso di ottenere un finanziamento a fronte di una offerta abbinata complessa».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
Sulla ricevibilità
34 La Compass Banca esprime dubbi quanto alla ricevibilità della prima questione per il fatto che la nozione di «consumatore medio» è ivi definita in modo diverso rispetto alla definizione abitualmente adottata, poiché prende in considerazione il rischio di influenza cognitiva sui consumatori, il che renderebbe la questione ipotetica. Infatti, dato che le decisioni contestate nel procedimento principale sono state adottate sulla base delle disposizioni nazionali di recepimento dell’articolo 8 della direttiva 2005/29 e non dell’articolo 6 di quest’ultima, la presa in considerazione di un siffatto rischio non sarebbe pertinente.
35 Al riguardo si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire [sentenza del 7 febbraio 2023, Confédération paysanne e a. (Mutagenesi casuale in vitro), C‑688/21, EU:C:2023:75, punto 32].
36 Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 7 febbraio 2023, Confédération paysanne e a. (Mutagenesi casuale in vitro), C‑688/21, EU:C:2023:75, punto 33].
37 Nel caso di specie, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte l’interpretazione della nozione di «consumatore medio», per determinare se una pratica commerciale cosiddetta di «incorniciamento» (framing) – consistente nella presentazione simultanea di un’offerta per un finanziamento personale e di un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza concedere al consumatore un periodo di riflessione tra le date di sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, il che, a causa di una distorsione di incorniciamento, potrebbe dare l’impressione a un consumatore medio di dover obbligatoriamente sottoscrivere tali due offerte (in prosieguo: la «pratica commerciale di “incorniciamento”») – debba essere considerata una pratica commerciale aggressiva, ai sensi, segnatamente, degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 e, quindi, sleale, ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva.
38 Orbene, al fine di determinare se una pratica commerciale sia «aggressiva», ai sensi di tale direttiva, l’articolo 8 di quest’ultima fa espressamente riferimento alla nozione di «consumatore medio».
39 Pertanto, non risulta in modo manifesto che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non presenti alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale o che il problema sollevato dal giudice del rinvio sia di natura ipotetica. Inoltre, la Corte dispone, dell’insieme degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alla prima questione.
40 Ne consegue che la prima questione è ricevibile.
Nel merito
41 In via preliminare, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza dell’8 settembre 2022, IRnova, C‑399/21, EU:C:2022:648, punto 22).
42 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che con la sua prima questione il giudice del rinvio intende accertare se, ai fini dell’interpretazione della nozione di «consumatore medio», ai sensi della direttiva 2005/29, in particolare del suo articolo 8, occorra fare riferimento non solo all’«homo oeconomicus», vale a dire, in sostanza, a un operatore economico perfettamente razionale nel prendere una decisione, ma anche agli studi più recenti riguardanti la teoria della «razionalità limitata», secondo la quale la capacità decisionale di un consumatore «risente dei limiti delle capacità cognitive di chi deve prendere la decisione rispetto al numero di stimoli ricevuti, alla capacità di mantenere nel tempo la propria attenzione e alla capacità di conservare la memoria di tutte le informazioni ricevute».
43 In tali circostanze, occorre considerare che, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita non soltanto con riferimento a un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, ma anche tenendo conto del fatto che la capacità decisionale di un individuo è falsata da limitazioni, quali le distorsioni cognitive.
44 In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2005/29 fa riferimento alla nozione di «consumatore medio» al fine di determinare se una pratica commerciale contraria alle norme di diligenza professionale sia tale da produrre un effetto sufficiente a giustificare il suo divieto in quanto pratica commerciale sleale, o se si debba ritenere che essa, in quanto idonea ad indurre in errore soltanto un consumatore molto sprovveduto o ingenuo, sfugga a tale divieto.
45 Questa stessa nozione è ripresa agli articoli da 6 a 8 di tale direttiva che, come risulta dall’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva, precisano il modo in cui i due criteri stabiliti all’articolo 5, paragrafo 2, della medesima, per qualificare una pratica come sleale, si applicano a talune forme particolari di pratiche commerciali sleali.
46 Orbene, per quanto riguarda l’interpretazione che occorre dare a tale nozione, dal considerando 18 della stessa direttiva emerge che, sebbene sia opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali, la Corte ha dichiarato, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450, che occorreva esaminare l’effetto delle pratiche commerciali «su un virtuale consumatore tipico».
47 Da detto considerando deriva anche che, conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la direttiva 2005/29 prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici.
48 Ne consegue che, come dichiarato dalla Corte nel contesto della direttiva 93/13, tale riferimento al consumatore medio costituisce un criterio oggettivo e che la nozione di «consumatore medio» prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni di cui egli realmente dispone. Inoltre, non è riconducibile a tale criterio oggettivo né il consumatore meno avveduto di tale consumatore medio, né il consumatore più avveduto di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2023, mBank (Registro polacco delle clausole illecite), C‑139/22, EU:C:2023:692, punti 60, 61 e 66].
49 Ciò detto, va ricordato che la direttiva 2005/29 mira a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, mediante l’armonizzazione delle disposizioni degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori (sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo e Centrale Adriatica, C‑281/12, EU:C:2013:859, punto 31). Tale obiettivo è corroborato dai considerando 7, 11, 13 e 14 di tale direttiva, ai sensi dei quali sono vietate le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori, che falsano i loro comportamenti economici o che impediscono loro di scegliere in maniera consapevole e, di conseguenza, efficiente.
50 Inoltre, sebbene il considerando 18 di tale direttiva precisi la nozione di «consumatore medio», da tale considerando risulta altresì che tale nozione non è statica e che gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie.
51 Di conseguenza, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, stabilire quale sia la reazione del consumatore medio rispetto a una determinata prassi commerciale «non può essere un’attività puramente teorica». Occorre tener conto anche di considerazioni più attinenti alla realtà, purché compatibili con le precisazioni fornite riguardo a tale nozione dal considerando 18 della direttiva 2005/29.
52 Indubbiamente, secondo detto considerando, il consumatore medio è una persona, da un lato, normalmente informata e, dall’altro, ragionevolmente attenta ed avveduta. Tuttavia, dato che, conformemente all’articolo 7 della direttiva 2005/29, spetta al professionista fornire ai consumatori le informazioni rilevanti di cui questi ultimi hanno bisogno, nella fattispecie concreta, per prendere la loro decisione, tale caratteristica del consumatore medio, di essere «normalmente informato», deve essere intesa come riferita alle informazioni che si possono ragionevolmente presumere note ad ogni consumatore, tenendo conto dei pertinenti fattori sociali, culturali e linguistici, e non alle informazioni proprie dell’operazione di cui trattasi. Di conseguenza, detta caratteristica non esclude che una pratica commerciale possa falsare in misura rilevante il comportamento economico di tale consumatore virtuale a causa di una carenza informativa di quest’ultimo.
53 Del pari, il fatto che la nozione di «consumatore medio» debba essere intesa con riferimento a un consumatore «ragionevolmente attento ed avveduto» non esclude la presa in considerazione dell’influenza di distorsioni cognitive su tale consumatore medio, purché sia dimostrato che tali distorsioni possano colpire una persona normalmente informata nonché ragionevolmente attenta ed avveduta, e ciò in misura tale che il suo comportamento ne risulterebbe falsato in misura rilevante.
54 Inoltre, la Corte ha già rilevato che un consumatore medio può essere indotto in errore e che, di conseguenza, non possa effettuare le sue scelte commerciali né in modo consapevole né in modo efficiente (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo e Centrale Adriatica, C‑281/12, EU:C:2013:859, punti 34 e 38).
55 Inoltre, la Corte ha dichiarato, nel settore dei marchi dell’Unione europea, che occorre prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punti 25 e 26).
56 Essa ha poi già avuto l’occasione di constatare che una percezione errata di un’informazione può essere stata suggerita al consumatore medio (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark, C‑611/14, EU:C:2016:800, punti 40 e 41) e che è improbabile che il consumatore medio disponga, in determinati settori, della competenza tecnica per comprendere tutti gli elementi di un’eventuale offerta al fine di effettuare una scelta in maniera pienamente razionale (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia, C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punti da 50 a 52).
57 Ciò detto, se è vero che la capacità di decisione di un consumatore può essere falsata da un insieme di limitazioni, come le distorsioni cognitive, ciò non implica tuttavia che si debba necessariamente ritenere che qualsiasi rischio di insorgenza di una distorsione cognitiva in occasione di una pratica commerciale abbia necessariamente l’effetto di falsare, in misura rilevante, il comportamento di tale consumatore virtuale. Occorre inoltre che sia debitamente dimostrato che, nelle specifiche circostanze di una situazione concreta, una siffatta pratica sia tale da incidere sul consenso di una persona normalmente informata nonché ragionevolmente attenta ed avveduta, e ciò in misura tale che il suo comportamento ne sarebbe falsato in misura rilevante.
58 Infatti, spetta, in realtà, agli organi giurisdizionali nazionali determinare la reazione tipica del consumatore medio in una determinata situazione (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark, C‑611/14, EU:C:2016:800, punto 39).
59 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Una siffatta definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive.
Sulla seconda questione
60 In via preliminare, occorre rilevare che, come risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio intende accertare, con la sua seconda questione, se una pratica commerciale di «incorniciamento» possa essere considerata in ogni caso «aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29 ed essere quindi contraria, per questa sola ragione, alla stessa. Tuttavia, in tale seconda questione, il giudice del rinvio fa altresì riferimento alla nozione di pratica commerciale «ingannevole». Orbene, come risulta dall’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, le pratiche commerciali aggressive e ingannevoli costituiscono due categorie di pratiche commerciali sleali. Inoltre, la nozione di pratica commerciale considerata in ogni caso sleale è introdotta all’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva in parola.
61 Occorre, di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza della Corte citata al punto 41 della presente sentenza, considerare che, con la seconda questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, e gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 debbano essere interpretati nel senso che una pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento costituisce una pratica commerciale in ogni caso aggressiva o, quanto meno, una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva.
62 In primo luogo, occorre ricordare che il capo 2 della direttiva 2005/29, intitolato «Pratiche commerciali sleali», contiene due sezioni, vale a dire la sezione 1, relativa alle pratiche commerciali ingannevoli, e la sezione 2, relativa alle pratiche commerciali aggressive.
63 L’articolo 5 di detta direttiva, contenuto nel capo 2 di quest’ultima, vieta, al paragrafo 1, le pratiche commerciali sleali e stabilisce, al paragrafo 2, i criteri atti a determinare se una pratica commerciale abbia carattere sleale.
64 Detto articolo 5 precisa, al paragrafo 4, che sono sleali, in particolare, le pratiche commerciali «ingannevoli» di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29 e quelle «aggressive» di cui agli articoli 8 e 9 della medesima direttiva.
65 Il paragrafo 5 del suddetto articolo 5 indica, inoltre, che l’allegato I della direttiva 2005/29 riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali e che detto elenco, che si applica in tutti gli Stati membri, può essere modificato solo mediante revisione di tale direttiva.
66 A tal riguardo, il considerando 17 della direttiva 2005/29 precisa che, per garantire una maggiore certezza del diritto, solo le pratiche elencate in tale allegato I sono considerate in ogni caso sleali, senza che occorra effettuare una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva.
67 Poiché l’allegato I della direttiva 2005/29 costituisce un elenco completo ed esaustivo delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali, una pratica commerciale come quella dell’«incorniciamento» controversa nel procedimento principale può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva, o, più in generale, come pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva, soltanto a condizione che essa corrisponda a una delle situazioni elencate in tale allegato.
68 Orbene, una lettura di detto allegato consente di constatare l’assenza di una tale corrispondenza, la quale, del resto, non è stata addotta nel procedimento principale.
69 Pertanto, è necessario ritenere che una pratica commerciale come quella dell’«incorniciamento» di cui trattasi nel procedimento principale, consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, non costituisca una pratica che può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva, o come pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di detta direttiva.
70 Ciò detto, dato che, alla luce degli elementi del fascicolo trasmesso alla Corte, non si può escludere che l’AGCM abbia qualificato la pratica di cui trattasi nel procedimento principale come «aggressiva» a seguito di un’analisi approfondita della pratica commerciale controversa condotta tenendo conto delle circostanze del caso di specie, occorre, in secondo luogo, e al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, esaminare la questione se una pratica commerciale di «incorniciamento» possa costituire una pratica commerciale aggressiva, ai sensi della direttiva 2005/29, per il solo motivo che essa consiste nel presentare simultaneamente a un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza che sia concesso al consumatore un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei due contratti relativi a tali offerte, e ciò quand’anche tale prassi sia atta a generare una distorsione di incorniciamento, dando quindi a tale consumatore l’impressione che egli debba obbligatoriamente sottoscrivere un’assicurazione al fine di ottenere un finanziamento personale.
71 Dall’articolo 8 della direttiva 2005/29 risulta che è considerata aggressiva una pratica commerciale che, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
72 Orbene, in assenza di una definizione delle nozioni di «molestie» e di «coercizione», ai sensi di tale articolo 8, occorre, per definire queste ultime, far riferimento al senso abituale che tali termini hanno nel linguaggio corrente, il quale esclude che una pratica commerciale possa indurre una forma di molestia o di coercizione per il solo motivo che essa presenti le caratteristiche di una pratica commerciale di incorniciamento.
73 Quanto alla possibilità che una siffatta pratica commerciale possa comportare un «indebito condizionamento», ai sensi di detto articolo 8, occorre ricordare che quest’ultima nozione, definita all’articolo 2, lettera j), della direttiva 2005/29, consiste nello sfruttamento di una posizione di potere nei confronti del consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un indebito condizionamento non è necessariamente un condizionamento illecito, bensì un condizionamento che, fatta salva la sua liceità, comporta in modo attivo, attraverso una certa pressione, il condizionamento forzato della volontà del consumatore (sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 33).
74 Pertanto, l’applicazione, da parte di un professionista, di una modalità di conclusione o di modifica dei contratti può essere qualificata come «pratica commerciale aggressiva» a causa dell’esercizio di un indebito condizionamento mediante l’adozione di comportamenti sleali che hanno l’effetto di esercitare una pressione sul consumatore in modo tale che la sua libertà di scelta sia limitata considerevolmente, come comportamenti che possono risultare inopportuni per un consumatore medio o possono turbare la sua riflessione (v., in tal senso, sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 47).
75 Orbene, una prassi consistente nel presentare simultaneamente ad un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza che gli venga lasciato un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, non implica, di per sé, l’esistenza di atti di pressione, quand’anche tale prassi possa generare una distorsione di incorniciamento. Di conseguenza, una siffatta prassi non può caratterizzare, da sola, un «indebito condizionamento», ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2005/29.
76 Ciò detto, occorre ricordare che la direttiva 2005/29 menziona, tra le pratiche commerciali sleali, non solo le pratiche commerciali aggressive, ma anche le pratiche commerciali ingannevoli definite all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva come comprendenti le pratiche commerciali che, in qualsiasi modo, ingannino o possano ingannare il consumatore medio per quanto riguarda, in particolare, la necessità di una manutenzione e che lo inducano o siano idonee a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
77 Nel procedimento principale, quindi, solamente se, in occasione della pratica di cui trattasi, il professionista non solo non abbia concesso al consumatore un periodo di riflessione tra la firma del contratto di finanziamento e quella del contratto di assicurazione, ma abbia inoltre fatto ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento, siffatta pratica potrà essere qualificata come «aggressiva» ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2005/29. Per contro, anche in assenza di molestie, coercizione o di indebito condizionamento, detta pratica potrà essere qualificata come «pratica commerciale ingannevole» e, di conseguenza, come «pratica commerciale sleale», se essa soddisfa le condizioni definite agli articoli 6 e 7 di tale direttiva.
78 Al riguardo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che è essenziale fornire al consumatore, anche prima della conclusione del contratto, informazioni chiare ed adeguate (v., in tal senso, sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 34, nonché giurisprudenza ivi citata).
79 Orbene, la presentazione simultanea di due offerte di servizi distinti, quand’anche tali offerte non siano giuridicamente collegate, può richiedere che vengano fornite informazioni supplementari al consumatore, proprio affinché quest’ultimo non sia indotto in errore circa l’assenza di collegamento tra dette offerte.
80 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che la presentazione delle due offerte controverse nel procedimento principale avrebbe potuto indurre un consumatore a credere che non fosse possibile ottenere il finanziamento senza sottoscrivere un prodotto assicurativo di cui trattasi nel procedimento principale, tanto più che taluni rischi relativi al finanziamento erano coperti da tale polizza assicurativa, quali, in particolare, il rischio di deterioramento dello stato di salute che può impedire il rispetto degli obblighi contrattuali relativi al finanziamento.
81 Peraltro, il giudice del rinvio fa riferimento, nella sua terza questione, alla situazione di bisogno di chi normalmente chiede un finanziamento, alla complessità dei contratti sottoposti alla firma del consumatore, alla presentazione simultanea di offerte abbinate e alla brevità del termine concesso per la sottoscrizione dell’offerta interessata.
82 Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio risulta altresì che la Compass Banca sostiene di aver debitamente informato i consumatori interessati del fatto che il prodotto assicurativo di cui trattasi nel procedimento principale non era collegato al finanziamento personale e di aver consegnato a tali consumatori i documenti pertinenti, anche nell’ambito della fase precontrattuale.
83 In definitiva, spetta al giudice del rinvio verificare se la pratica commerciale di cui trattasi nel procedimento principale possa costituire una «pratica commerciale sleale», in particolare in quanto possa essere qualificata quale «pratica commerciale ingannevole», ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29, o come «pratica commerciale aggressiva» di cui agli articoli 8 e 9 di tale direttiva.
84 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, e gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 devono essere interpretati nel senso che la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva.
Sulla terza questione
85 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più generalmente, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della firma del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento.
86 A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2005/29, quest’ultima intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori.
87 Come risulta dal considerando 14 della direttiva 2005/29, poiché tale armonizzazione assume la forma di un’armonizzazione completa di tali disposizioni degli Stati membri, si deve constatare che detta direttiva vieta a questi stessi Stati membri di mantenere o adottare misure rientranti in tale settore armonizzato che la direttiva 2005/29 non enuncerebbe o non autorizzerebbe, anche qualora siffatte misure mirino a garantire un livello di protezione più elevato dei consumatori (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, C‑540/08, EU:C:2010:660, punto 38).
88 Orbene, come risulta dalla risposta alla seconda questione, una pratica commerciale come quella di «incorniciamento» di cui trattasi nel procedimento principale non costituisce una pratica commerciale in ogni caso aggressiva, e neppure una pratica in ogni caso sleale, ai sensi della direttiva 2005/29.
89 Indubbiamente, in forza dell’articolo 3, paragrafo 9, di tale direttiva, in merito ai servizi finanziari definiti alla direttiva 2002/65, i quali comprendono qualsiasi servizio di natura creditizia o assicurativa, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla direttiva 2005/29 nel settore che essa armonizza.
90 Tuttavia, da un lato, una siffatta facoltà deve essere esercitata nel rispetto delle disposizioni imperative del diritto dell’Unione, eventualmente, in qualsiasi altro strumento pertinente. Dall’altro lato, affinché un’autorità possa, sul fondamento di tale facoltà, imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla direttiva 2005/29, detta facoltà deve essere stata attuata dallo Stato membro interessato con la specificità, la precisione e la chiarezza richieste dal requisito della certezza del diritto [v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2020, Subdelegación del Gobierno en Barcelona (Soggiornanti di lungo periodo), C‑503/19 e C‑592/19, EU:C:2020:629, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].
91 Di conseguenza, la direttiva 2005/29 osta a che un’autorità nazionale possa stabilire, al fine di tutelare i consumatori, un obbligo generale o preventivo di rispettare un determinato periodo di riflessione in caso di pratica commerciale consistente nel presentare simultaneamente un’offerta di un prodotto assicurativo e un’offerta per un contratto di finanziamento, qualora né un siffatto obbligo né la competenza di una tale autorità ad imporre un siffatto obbligo siano stati espressamente previsti dalla normativa nazionale.
92 Per contro, la direttiva 2005/29 non osta a che gli Stati membri prevedano nella loro normativa nazionale che un’autorità nazionale possa esercitare, una volta accertato, al termine di un esame circostanziato della pratica commerciale di un determinato professionista, che tale pratica è «aggressiva» e, pertanto, più in generale «sleale», ai sensi di tale direttiva, un potere di ingiunzione nei confronti di tale professionista.
93 Infatti, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2005/29, gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni di tale direttiva.
94 Ciò premesso, occorre in particolare rilevare che, da un lato, l’articolo 4 della direttiva 2005/29 enuncia espressamente che gli Stati membri non possono limitare la libera prestazione dei servizi per ragioni afferenti al settore armonizzato da tale direttiva. Dall’altro lato, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quando gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione, essi devono rispettare i diritti garantiti da quest’ultima.
95 Orbene, una misura adottata da un’autorità nazionale che, per far cessare una pratica commerciale aggressiva, imponesse il rispetto di un periodo ragionevole di riflessione tra le date di sottoscrizione di un contratto di finanziamento personale e di un contratto assicurativo potrebbe pregiudicare la libera prestazione di servizi e limitare la libertà d’impresa del professionista interessato.
96 Pertanto, conformemente al principio di proporzionalità, un’autorità nazionale può ricorrere a una siffatta misura solo se è dimostrato che, alla luce delle ragioni che hanno indotto tale autorità a qualificare come «aggressiva» o, quanto meno, come «sleale», la pratica commerciale di cui trattasi, non esistono altri mezzi altrettanto efficaci per porre fine a tale pratica che siano meno lesivi della libera prestazione di servizi e della libertà d’impresa del professionista interessato.
97 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più in generale, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della sottoscrizione del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, a meno che non esistano altri mezzi meno lesivi della libertà d’impresa che siano altrettanto efficaci per porre fine al carattere «aggressivo» o, più in generale, «sleale» di detta pratica.
Sulla quarta questione
98 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 debba essere interpretato nel senso che osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento sia considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, al fine di porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti interessati.
99 Anzitutto, si deve constatare che la quarta questione riguarda la vendita abbinata di un finanziamento personale e di un prodotto assicurativo e che la distribuzione dei prodotti assicurativi è disciplinata dalla direttiva 2016/97.
100 Al riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29, in caso di contrasto tra le disposizioni di tale direttiva e altre norme dell’Unione che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, queste ultime prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici.
101 L’articolo 24 della direttiva 2016/97 assoggetta i distributori di prodotti assicurativi, venduti in abbinamento con altri prodotti, ad obblighi particolari.
102 Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97, che è l’unica disposizione presa in considerazione dal giudice del rinvio nell’ambito della sua quarta questione, se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi deve offrire al cliente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente.
103 Orbene, conformemente all’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva 2016/97, gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni supplementari più rigorose o intervenire in casi specifici per vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 92 delle sue conclusioni, tale disposizione si applica soltanto se, da un lato, il prodotto assicurativo può essere considerato il prodotto «principale» e l’altro prodotto o servizio è «accessorio» ad esso, e, dall’altro, entrambi i prodotti sono offerti «come parte di un pacchetto o dello stesso accordo».
104 Ciò detto, occorre rilevare che la norma di cui all’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 non disciplina aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, ma si limita ad esigere, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa alla lealtà della pratica commerciale di cui trattasi, che, se siffatti prodotti e/o servizi sono oggetto di una «vendita abbinata» ai consumatori, questi ultimi devono avere la possibilità di acquistarli separatamente.
105 Pertanto, detto articolo 24, paragrafo 3, non impone alle autorità nazionali competenti di andare al di là di quanto richiesto dalla direttiva 2005/29. Infatti, la disposizione di cui trattasi si limita ad esigere che, ove tali prodotti e/o servizi siano oggetto di una «vendita abbinata», i consumatori abbiano anche la possibilità di acquistarli separatamente.
106 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni, tale disposizione non obbliga nemmeno dette autorità a fare qualcosa in meno rispetto a quello che esse sono autorizzate a fare in forza della direttiva 2005/29.
107 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento è considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, per porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi.
Sulla quinta questione
108 Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che la qualificazione di un tipo di pratica commerciale come in ogni caso «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 di tale direttiva o, più in generale, in ogni caso «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, comporti un’inversione dell’onere della prova a carico del professionista contraria al diritto dell’Unione.
109 Come risulta dalla risposta alla seconda questione, quale fornita al punto 84 della presente sentenza, una pratica commerciale come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva o, più in generale, come pratica commerciale in ogni caso sleale, ai sensi della direttiva 2005/29.
110 Tenuto conto di tale risposta, non occorre rispondere alla quinta questione.
Sulle spese
111 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»),
deve essere interpretata nel senso che:
la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Una siffatta definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive.
2) L’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, nonché gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29
devono essere interpretati nel senso che:
la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva.
3) La direttiva 2005/29
deve essere interpretata nel senso che:
essa non osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più in generale, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della sottoscrizione del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, a meno che non esistano altri mezzi meno lesivi della libertà d’impresa che siano altrettanto efficaci per porre fine al carattere «aggressivo» o, più in generale, «sleale» di detta pratica.
4) L’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa,
deve essere interpretato nel senso che:
esso non osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento è considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, per porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di
riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi.
Jarukaitis |
Regan |
Csehi |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 novembre 2024.
Il cancelliere |
Il presidente |
A. Calot Escobar |
K. Lenaerts |
* Lingua processuale: l’italiano.
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 14 novembre 2024 (*)
« Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 2, lettera j), articoli 5, 8 e 9 – Nozione di “consumatore medio” – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Nozione di “pratica commerciale aggressiva” – Vendita abbinata di un finanziamento personale e di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento – Orientamento delle informazioni fornite al consumatore – Nozione di “framing” (incorniciamento) – Pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente a un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento – Assenza di un periodo di riflessione tra la sottoscrizione del contratto di finanziamento e quella del contratto assicurativo – Direttiva (UE) 2016/97 – Articolo 24 » Nella causa C‑646/22, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanza del 10 ottobre 2022, pervenuta in cancelleria il 13 ottobre 2022, nel procedimento Compass Banca SpA contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nei confronti di: Metlife Europe Dac, Metlife Europe Insurance Dac, Europ Assistance Italia SpA, LA CORTE (Quinta Sezione), composta da I. Jarukaitis, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, E. Regan, e Z. Csehi (relatore), giudici, avvocato generale: N. Emiliou cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per la Compass Banca SpA, da F. Caronna, D. Gallo, E.A. Raffaelli, M. Siragusa, E. Teti, G. Vercillo e A. Zoppini, avvocati; – per la Europ Assistance Italia SpA, da P. Fattori, A. Lirosi e A. Pera, avvocati; – per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da A. Collabolletta e P. Gentili, avvocati dello Stato; – per la Commissione europea, da D. Recchia, N. Ruiz García e H. Tserepa‑Lacombe, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 aprile 2024, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera j), e degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22), nonché dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa (GU 2016, L 26, pag. 19). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Compass Banca SpA e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia) (in prosieguo: l’«AGCM»), in merito alle decisioni di quest’ultima relative a una pratica commerciale di tale società. Contesto normativo Diritto dell’Unione Direttiva 2005/29 3 I considerando 7, 11, 13, 14, 17, 18, e 21 della direttiva 2005/29 enunciano quanto segue: «(7) La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. (...) (...) (11) L’elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso la presente direttiva dà luogo a un elevato livello comune di tutela dei consumatori. La presente direttiva introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Essa stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive, che attualmente non sono disciplinate a livello comunitario. (...) (13) Per conseguire gli obiettivi comunitari mediante l’eliminazione degli ostacoli al mercato interno, è necessario sostituire le clausole generali e i principi giuridici divergenti attualmente in vigore negli Stati membri. Il divieto unico generale comune istituito dalla presente direttiva si applica pertanto alle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Per sostenere la fiducia da parte dei consumatori il divieto generale dovrebbe applicarsi parimenti a pratiche commerciali sleali che si verificano all’esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra un professionista ed un consumatore o in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione. Il divieto generale si articola attraverso norme riguardanti le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive. (14) È auspicabile che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientrino quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente. (...) Il fatto che la presente direttiva sia impostata sull’armonizzazione completa non osta a che gli Stati membri precisino nella legislazione nazionale le principali caratteristiche di particolari prodotti quali, per esempio, gli oggetti da collezione o i prodotti elettrotecnici, qualora l’omissione di tale precisazione avesse importanza decisiva al momento dell’invito all’acquisto. (...) (...) (17) È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva. (18) È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE [del Consiglio, del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di pubblicità ingannevole (GU 1984, L 250, pag. 17)], esaminare l’effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia, ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. (...) La nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie. (...) (21) Le persone o le organizzazioni che in base alla legislazione nazionale siano considerate titolari di interesse legittimo nel caso di specie devono disporre di mezzi di impugnazione contro le pratiche commerciali sleali dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un’autorità amministrativa competente a decidere dei reclami o a promuovere un’adeguata azione giudiziaria. Pur spettando al diritto nazionale stabilire l’onere della prova, è appropriato attribuire agli organi giurisdizionali e alle autorità amministrative il potere di esigere che il professionista fornisca prove sull’esattezza delle allegazioni fattuali che ha presentato». 4 L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Scopo», dispone quanto segue: «La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori». 5 Ai sensi dell’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni»: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (...) b) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista; (...) d) “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori; e) “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso; (...) j) “indebito condizionamento”: lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole; k) “decisione di natura commerciale”: una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto. Tale decisione può portare il consumatore a compiere un’azione o all’astenersi dal compierla; (...)». 6 L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», ai paragrafi 4 e 9, così prevede: «4. In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici. (...) 9. In merito ai “servizi finanziari” definiti alla direttiva 2002/65/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU 2002, L 271, pag. 16)] e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza». 7 L’articolo 4 della direttiva 2005/29, intitolato «Mercato interno», dispone quanto segue: «Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva». 8 L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Divieto delle pratiche commerciali sleali», contenuto nel capo 2 di quest’ultima, intitolato «Pratiche commerciali sleali», è così formulato: «1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate. 2. Una pratica commerciale è sleale se: a) è contraria alle norme di diligenza professionale, e b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. (...) 4. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7 o b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9. 5. L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva». 9 La sezione 1, intitolata «Pratiche commerciali ingannevoli», di tale capo 2, comprende gli articoli 6 e 7 di detta direttiva. L’articolo 6, intitolato «Azioni ingannevoli», al paragrafo 1, lettera e), così prevede: «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: (...) e) la necessità di una manutenzione, (...)». 10 L’articolo 7 della medesima direttiva, intitolato «Omissioni ingannevoli», ai paragrafi 1 e 2 enuncia quanto segue: «1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 2. Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. (...)». 11 La sezione 2, intitolata «Pratiche commerciali aggressive», del capo 2 della direttiva 2005/29, contiene gli articoli 8 e 9 di quest’ultima. 12 Ai sensi dell’articolo 8 della medesima direttiva, intitolato «Pratiche commerciali aggressive»: «È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». 13 L’articolo 9 di detta direttiva, intitolato «Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento», così dispone: «Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi: a) i tempi, il luogo, la natura o la persistenza; b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale; c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto; d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista; e) qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa». 14 L’articolo 11 della stessa direttiva, intitolato «Applicazione», prevede al paragrafo 1, primo comma, quanto segue: «Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori. (...)». 15 I punti da 24 a 31 dell’allegato I della direttiva 2005/29, intitolato «Pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali», elencano e definiscono le «[p]ratiche commerciali aggressive» come segue: «24) Creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto. 25) Effettuare visite presso l’abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale. 26) Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatti salvi l’articolo 10 della direttiva 97/7/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU 1997, L 144, pag. 19)] e [la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31) e la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37)]. 27) Imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non potrebbero ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la validità della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall’esercizio dei suoi diritti contrattuali. 28) Includere in un messaggio pubblicitario un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati. Questa disposizione non osta all’applicazione dell’articolo 16 della direttiva 89/552/CEE, [del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU 1989, L 298, pag. 23)]. 29) Esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo nel caso dei beni di sostituzione di cui all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 97/7/CE (fornitura non richiesta). 30) Informare esplicitamente il consumatore che se non acquista il prodotto o servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista. 31) Dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti: – non esiste alcun premio né vincita equivalente, oppure – qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore». Direttiva 2016/97 16 L’articolo 24 della direttiva 2016/97, intitolato «Vendita abbinata», ai paragrafi 3 e 7, dispone quanto segue: «3. Se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi offre al cliente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente. Il presente paragrafo non si applica se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un servizio o attività di investimento quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 2), della direttiva 2014/65/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU 2014, L 173, pag. 349)], a un contratto di credito quale definito all’articolo 4, punto 3), della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 60, pag. 34)] o a un conto di pagamento quale definito all’articolo 2, punto 3), della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base (GU 2014, L 257, pag. 214)]. (...) 7. Gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni supplementari più rigorose o intervenire in casi specifici per vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori». Diritto italiano Codice del Consumo 17 L’articolo 20 del decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (supplemento ordinario alla GURI n. 235 dell’8 ottobre 2005, in prosieguo: il «codice del consumo»), che ha recepito la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), dispone quanto segue: «Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori». 18 L’articolo 24 di tale codice, intitolato «Pratiche commerciali aggressive», che recepisce le prescrizioni di cui all’articolo 8 della direttiva 2005/29, così prevede: «1. È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. (…)». Decreto legislativo del 7 settembre 2005, n. 209 19 L’articolo 120-quinquies del decreto legislativo del 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle assicurazioni private (supplemento ordinario alla GURI n. 239 del 13 ottobre 2005), intitolato «Vendita abbinata», è così formulato: «1. Il distributore che propone un prodotto assicurativo insieme a un prodotto o servizio accessorio diverso da una assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, informa il contraente dell’eventuale possibilità di acquistare separatamente le due componenti e fornisce una descrizione adeguata delle diverse componenti dell’accordo o del pacchetto e i giustificativi separati dei costi e degli oneri di ciascuna componente. 2. Nelle circostanze di cui al comma 1 e quando il rischio o la copertura assicurativa derivanti dall’accordo o dal pacchetto proposto a un contraente sono diversi dalle componenti considerate separatamente, il distributore di prodotti assicurativi fornisce una descrizione adeguata delle diverse componenti dell’accordo o del pacchetto e del modo in cui la loro interazione modifica i rischi o la copertura assicurativa. 3. Se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da una assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi offre al contraente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente. Il presente comma non si applica se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un servizio o attività di investimento quali definiti all’articolo 1, comma 5, del testo unico dell’intermediazione finanziaria, a un contratto di credito quale definito all’articolo 120-quinquies, comma 1, lettera c), del testo unico bancario o a un conto di pagamento quale definito all’articolo 126-decies del testo unico bancario. 4. Nei casi di cui ai commi 1 e 3, il distributore di prodotti assicurativi specifica al contraente i motivi per cui il prodotto assicurativo che è parte del pacchetto complessivo o dello stesso accordo è ritenuto indicato a soddisfare le richieste e le esigenze del contraente medesimo. 5. Nei casi di cui ai commi 1 e 3, in relazione all’obiettivo di protezione degli assicurati, l’[Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) (Italia)], con riferimento all’attività di distribuzione assicurativa, può applicare le misure cautelari e interdittive previste dal presente codice, ivi incluso il potere di vietare la vendita, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, di una assicurazione insieme a un servizio o prodotto diverso dall’assicurazione indipendentemente dal fatto che l’accessorietà afferisca all’assicurazione o al servizio o prodotto diverso dall’assicurazione, quando tale pratica sia dannosa per i consumatori. Con riferimento ai prodotti di investimento assicurativi, i suddetti poteri sono esercitati da IVASS e [dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB)], coerentemente con le rispettive competenze. 6. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla distribuzione di prodotti assicurativi che offrono copertura per diversi tipi di rischio. 7. Sono fatte salve le previsioni del Codice del Consumo (...), ove applicabili (…)». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 20 La Compass Banca, con sede in Italia, ha proposto ai suoi clienti, tra il gennaio 2015 e il luglio 2018, di sottoscrivere diversi finanziamenti personali e prodotti assicurativi che prevedevano la copertura di determinati rischi senza un necessario collegamento con tali finanziamenti. Dall’ordinanza di rinvio risulta che, pur non essendo la sottoscrizione di una polizza assicurativa un presupposto per la concessione di un finanziamento personale, essa veniva comunque proposta in abbinamento con tale finanziamento. 21 Il 13 settembre 2018 l’AGCM ha avviato un procedimento al fine di accertare se detta pratica commerciale fosse «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29. 22 Nel corso di tale procedimento, la Compass Banca ha presentato una proposta di impegni recante una serie di misure specifiche volte a rendere più chiara al consumatore la non obbligatorietà della sottoscrizione di un’assicurazione non collegata a un finanziamento personale. Tali misure comprendevano l’estensione alla totalità dei clienti di un diritto di recesso dal contratto di assicurazione incondizionato e privo di effetto sul contratto di finanziamento. Viceversa, la Compass Banca ha respinto la richiesta dell’AGCM volta a prevedere a favore dei clienti un periodo di riflessione di sette giorni tra la data di sottoscrizione del contratto di finanziamento e quella di sottoscrizione del contratto assicurativo. Essa ha ritenuto tale misura sproporzionata e asimmetrica, in quanto non si applicava a tutti i concorrenti. 23 L’11 marzo 2019 la Compass Banca ha depositato una nuova proposta di impegni contenente ulteriori misure destinate, a suo avviso, a produrre un effetto analogo all’introduzione di un periodo di riflessione di sette giorni richiesto dall’AGCM, come l’obbligo di contattare i suoi clienti sette giorni dopo la stipula del contratto di assicurazione per chiedere loro conferma dell’intenzione di mantenere la polizza assicurativa sottoscritta nell’ambito di tale contratto, aggiungendo al contempo che essa avrebbe coperto il costo del premio di assicurazione per il periodo corrispondente a tali sette giorni. 24 Con decisione del 2 aprile 2019, confermata il 3 luglio 2019, l’AGCM ha respinto tale proposta di impegni. 25 Con decisione del 27 novembre 2019, comunicata alla Compass Banca il 23 dicembre 2019, l’AGCM ha constatato che tale società aveva adottato una pratica commerciale «aggressiva», e quindi «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, consistente nell’«abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito». Essa ha vietato la continuazione di detta pratica e ha irrogato alla Compass Banca una sanzione pecuniaria di importo pari a EUR 4 700 000. 26 La Compass Banca ha proposto un ricorso avverso le decisioni dell’AGCM menzionate ai punti 24 e 25 della presente sentenza dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia), il quale con sentenza n. 9516/2021 lo ha respinto. 27 La Compass Banca ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio. 28 La Compass Banca sostiene che l’AGCM ha considerato la sua pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale» ai sensi della direttiva 2005/29, per il solo fatto che tale pratica consisteva nella vendita abbinata di finanziamenti personali e prodotti assicurativi, senza fornire la prova effettiva di tale carattere «aggressivo», alla luce delle caratteristiche specifiche di detta pratica o delle circostanze del caso di specie. La Compass Banca ne deduce che l’AGCM ha proceduto ad un’inversione dell’onere della prova, ingiustificata e inaccettabile, obbligandola a dimostrare che la sua pratica commerciale non è, in realtà, «aggressiva», ai sensi di tale direttiva. 29 L’AGCM sostiene che, con la vendita abbinata di finanziamenti personali e prodotti assicurativi, la Compass Banca ha condizionato e limitato considerevolmente la libertà di scelta dei suoi clienti. Essa constata che la Compass Banca non ha, in particolare, fornito informazioni ai propri clienti sulla natura facoltativa del prodotto assicurativo, e aggiunge che una simile pratica non sarebbe stata considerata «aggressiva» se fosse stato concesso ai clienti interessati un periodo di riflessione di sette giorni tra la data di sottoscrizione del contratto di finanziamento personale e la data del contratto relativo al prodotto assicurativo. 30 Il giudice del rinvio si chiede, anzitutto, se la nozione di «consumatore medio», ai sensi della direttiva 2005/29, attribuisca sufficiente importanza alla teoria della «razionalità limitata», la quale esige la necessità di una maggiore tutela dei consumatori. Secondo tale teoria, le persone agiscono spesso senza disporre di tutte le informazioni necessarie. Pertanto, e nella misura in cui i consumatori sarebbero segnatamente soggetti a distorsioni denominate, dalle scienze cognitive, di «incorniciamento» (framing), questi ultimi potrebbero modificare le loro preferenze secondo le modalità di presentazione delle offerte contrattuali che vengono loro fatte e, di conseguenza, prendere decisioni irrazionali rispetto a quelle che verrebbero adottate da una persona normalmente informata, nonché ragionevolmente attenta ed avveduta. 31 Esso si chiede poi se la pratica di cui trattasi nel procedimento principale debba essere considerata una pratica commerciale «aggressiva» e, quindi, «sleale», ai sensi della direttiva 2005/29, quando le offerte commerciali fatte ai consumatori per un contratto di finanziamento e un prodotto assicurativo siano presentate con la distorsione dell’«incorniciamento» (framing), in modo da far credere loro che la concessione di un finanziamento personale sia subordinata alla sottoscrizione di un’assicurazione. 32 Infine, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97, relativo alla vendita abbinata di prodotti assicurativi e altri prodotti, osti a che l’AGCM vieti una pratica commerciale come quella seguita dalla Compass Banca. 33 In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la nozione di consumatore medio di cui alla direttiva [2005/29] inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto – per la sua elasticità ed indeterminatezza – non debba essere formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza e di conseguenza rimandi non solo alla nozione classica dell’homo oeconomicus ma anche alle acquisizioni delle [teorie] sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscono spesso riducendo le informazioni necessarie con decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento ed avveduto[,] acquisizioni che impongono una esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi. 2) Se possa essere considerata di per sé aggressiva una pratica commerciale nella quale, a causa dell’incorniciamento delle informazioni (framing)[,] una scelta possa apparire come obbligata e senza alternative tenendo conto dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [2005/29] che considera ingannevole una pratica commerciale che in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio “anche nella sua presentazione complessiva”. 3) Se la direttiva [2005/29] giustifichi il potere dell’[AGCM] (una volta rilevato il pericolo di condizionamento psicologico legato[, in primo luogo,] allo stato di bisogno in cui normalmente versa chi chiede un finanziamento, [in secondo luogo,] alla complessità dei contratti sottoposti alla firma del consumatore, [in terzo luogo,] alla contestualità dell’offerta presentata in abbinamento, [in quarto luogo,] alla brevità dei tempi concessi per la sottoscrizione dell’offerta), di prevedere una deroga al principio della possibilità di abbinamento tra vendita di prodotti assicurativi e vendita di prodotti finanziari non connessi imponendo uno spazio temporale di 7 giorni tra le firme dei due contratti. 4) Se, in relazione a tale potere repressivo delle pratiche commerciali aggressive, la direttiva [2016/97], ed in specie l’articolo 24[,] paragrafo 3 della stessa, osti all’adozione di un provvedimento dell’[AGCM] adottato sulla base degli articoli 2, lettere d) e j), 4, 8 e 9 della direttiva [2005/29] e della normativa nazionale di recepimento (...) dopo il rigetto di una istanza di impegni a seguito del rifiuto di una società di servizi di investimento, nel caso di vendita abbinata di un prodotto finanziario ed un prodotto assicurativo non connesso al primo – ed in presenza di un pericolo di condizionamento del consumatore legato alle circostanze del caso concreto desumibili anche dalla complessità della documentazione da esaminare – di concedere al consumatore uno spatium deliberandi di 7 giorni fra la formulazione della proposta abbinata e la sottoscrizione del contratto assicurativo. 5) Se il considerare pratica aggressiva il mero abbinamento di due prodotti finanziari e assicurativi potrebbe finire per risolversi in un atto di regolazione non consentito e non finirebbe per addossare sul professionista (e non sull’AGCM, come dovrebbe essere) l’onere (difficile da assolvere) di dimostrare che non si tratta di pratica aggressiva in violazione della direttiva [2005/29] (tanto più che la direttiva citata non consente agli Stati membri di adottare misure più restrittive di quelle da essa definite, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori) o se invece tale inversione dell’onere della prova non sussista purché, sulla base di elementi oggettivi, sia ritenuto il concreto pericolo di un condizionamento del consumatore bisognoso di ottenere un finanziamento a fronte di una offerta abbinata complessa». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione Sulla ricevibilità 34 La Compass Banca esprime dubbi quanto alla ricevibilità della prima questione per il fatto che la nozione di «consumatore medio» è ivi definita in modo diverso rispetto alla definizione abitualmente adottata, poiché prende in considerazione il rischio di influenza cognitiva sui consumatori, il che renderebbe la questione ipotetica. Infatti, dato che le decisioni contestate nel procedimento principale sono state adottate sulla base delle disposizioni nazionali di recepimento dell’articolo 8 della direttiva 2005/29 e non dell’articolo 6 di quest’ultima, la presa in considerazione di un siffatto rischio non sarebbe pertinente. 35 Al riguardo si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire [sentenza del 7 febbraio 2023, Confédération paysanne e a. (Mutagenesi casuale in vitro), C‑688/21, EU:C:2023:75, punto 32]. 36 Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 7 febbraio 2023, Confédération paysanne e a. (Mutagenesi casuale in vitro), C‑688/21, EU:C:2023:75, punto 33]. 37 Nel caso di specie, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte l’interpretazione della nozione di «consumatore medio», per determinare se una pratica commerciale cosiddetta di «incorniciamento» (framing) – consistente nella presentazione simultanea di un’offerta per un finanziamento personale e di un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza concedere al consumatore un periodo di riflessione tra le date di sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, il che, a causa di una distorsione di incorniciamento, potrebbe dare l’impressione a un consumatore medio di dover obbligatoriamente sottoscrivere tali due offerte (in prosieguo: la «pratica commerciale di “incorniciamento”») – debba essere considerata una pratica commerciale aggressiva, ai sensi, segnatamente, degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 e, quindi, sleale, ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva. 38 Orbene, al fine di determinare se una pratica commerciale sia «aggressiva», ai sensi di tale direttiva, l’articolo 8 di quest’ultima fa espressamente riferimento alla nozione di «consumatore medio». 39 Pertanto, non risulta in modo manifesto che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non presenti alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale o che il problema sollevato dal giudice del rinvio sia di natura ipotetica. Inoltre, la Corte dispone, dell’insieme degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alla prima questione. 40 Ne consegue che la prima questione è ricevibile. Nel merito 41 In via preliminare, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza dell’8 settembre 2022, IRnova, C‑399/21, EU:C:2022:648, punto 22). 42 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che con la sua prima questione il giudice del rinvio intende accertare se, ai fini dell’interpretazione della nozione di «consumatore medio», ai sensi della direttiva 2005/29, in particolare del suo articolo 8, occorra fare riferimento non solo all’«homo oeconomicus», vale a dire, in sostanza, a un operatore economico perfettamente razionale nel prendere una decisione, ma anche agli studi più recenti riguardanti la teoria della «razionalità limitata», secondo la quale la capacità decisionale di un consumatore «risente dei limiti delle capacità cognitive di chi deve prendere la decisione rispetto al numero di stimoli ricevuti, alla capacità di mantenere nel tempo la propria attenzione e alla capacità di conservare la memoria di tutte le informazioni ricevute». 43 In tali circostanze, occorre considerare che, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita non soltanto con riferimento a un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, ma anche tenendo conto del fatto che la capacità decisionale di un individuo è falsata da limitazioni, quali le distorsioni cognitive. 44 In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2005/29 fa riferimento alla nozione di «consumatore medio» al fine di determinare se una pratica commerciale contraria alle norme di diligenza professionale sia tale da produrre un effetto sufficiente a giustificare il suo divieto in quanto pratica commerciale sleale, o se si debba ritenere che essa, in quanto idonea ad indurre in errore soltanto un consumatore molto sprovveduto o ingenuo, sfugga a tale divieto. 45 Questa stessa nozione è ripresa agli articoli da 6 a 8 di tale direttiva che, come risulta dall’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva, precisano il modo in cui i due criteri stabiliti all’articolo 5, paragrafo 2, della medesima, per qualificare una pratica come sleale, si applicano a talune forme particolari di pratiche commerciali sleali. 46 Orbene, per quanto riguarda l’interpretazione che occorre dare a tale nozione, dal considerando 18 della stessa direttiva emerge che, sebbene sia opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali, la Corte ha dichiarato, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l’entrata in vigore della direttiva 84/450, che occorreva esaminare l’effetto delle pratiche commerciali «su un virtuale consumatore tipico». 47 Da detto considerando deriva anche che, conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la direttiva 2005/29 prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici. 48 Ne consegue che, come dichiarato dalla Corte nel contesto della direttiva 93/13, tale riferimento al consumatore medio costituisce un criterio oggettivo e che la nozione di «consumatore medio» prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni di cui egli realmente dispone. Inoltre, non è riconducibile a tale criterio oggettivo né il consumatore meno avveduto di tale consumatore medio, né il consumatore più avveduto di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2023, mBank (Registro polacco delle clausole illecite), C‑139/22, EU:C:2023:692, punti 60, 61 e 66]. 49 Ciò detto, va ricordato che la direttiva 2005/29 mira a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, mediante l’armonizzazione delle disposizioni degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori (sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo e Centrale Adriatica, C‑281/12, EU:C:2013:859, punto 31). Tale obiettivo è corroborato dai considerando 7, 11, 13 e 14 di tale direttiva, ai sensi dei quali sono vietate le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori, che falsano i loro comportamenti economici o che impediscono loro di scegliere in maniera consapevole e, di conseguenza, efficiente. 50 Inoltre, sebbene il considerando 18 di tale direttiva precisi la nozione di «consumatore medio», da tale considerando risulta altresì che tale nozione non è statica e che gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie. 51 Di conseguenza, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, stabilire quale sia la reazione del consumatore medio rispetto a una determinata prassi commerciale «non può essere un’attività puramente teorica». Occorre tener conto anche di considerazioni più attinenti alla realtà, purché compatibili con le precisazioni fornite riguardo a tale nozione dal considerando 18 della direttiva 2005/29. 52 Indubbiamente, secondo detto considerando, il consumatore medio è una persona, da un lato, normalmente informata e, dall’altro, ragionevolmente attenta ed avveduta. Tuttavia, dato che, conformemente all’articolo 7 della direttiva 2005/29, spetta al professionista fornire ai consumatori le informazioni rilevanti di cui questi ultimi hanno bisogno, nella fattispecie concreta, per prendere la loro decisione, tale caratteristica del consumatore medio, di essere «normalmente informato», deve essere intesa come riferita alle informazioni che si possono ragionevolmente presumere note ad ogni consumatore, tenendo conto dei pertinenti fattori sociali, culturali e linguistici, e non alle informazioni proprie dell’operazione di cui trattasi. Di conseguenza, detta caratteristica non esclude che una pratica commerciale possa falsare in misura rilevante il comportamento economico di tale consumatore virtuale a causa di una carenza informativa di quest’ultimo. 53 Del pari, il fatto che la nozione di «consumatore medio» debba essere intesa con riferimento a un consumatore «ragionevolmente attento ed avveduto» non esclude la presa in considerazione dell’influenza di distorsioni cognitive su tale consumatore medio, purché sia dimostrato che tali distorsioni possano colpire una persona normalmente informata nonché ragionevolmente attenta ed avveduta, e ciò in misura tale che il suo comportamento ne risulterebbe falsato in misura rilevante. 54 Inoltre, la Corte ha già rilevato che un consumatore medio può essere indotto in errore e che, di conseguenza, non possa effettuare le sue scelte commerciali né in modo consapevole né in modo efficiente (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Trento Sviluppo e Centrale Adriatica, C‑281/12, EU:C:2013:859, punti 34 e 38). 55 Inoltre, la Corte ha dichiarato, nel settore dei marchi dell’Unione europea, che occorre prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punti 25 e 26). 56 Essa ha poi già avuto l’occasione di constatare che una percezione errata di un’informazione può essere stata suggerita al consumatore medio (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark, C‑611/14, EU:C:2016:800, punti 40 e 41) e che è improbabile che il consumatore medio disponga, in determinati settori, della competenza tecnica per comprendere tutti gli elementi di un’eventuale offerta al fine di effettuare una scelta in maniera pienamente razionale (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, Wind Tre e Vodafone Italia, C‑54/17 e C‑55/17, EU:C:2018:710, punti da 50 a 52). 57 Ciò detto, se è vero che la capacità di decisione di un consumatore può essere falsata da un insieme di limitazioni, come le distorsioni cognitive, ciò non implica tuttavia che si debba necessariamente ritenere che qualsiasi rischio di insorgenza di una distorsione cognitiva in occasione di una pratica commerciale abbia necessariamente l’effetto di falsare, in misura rilevante, il comportamento di tale consumatore virtuale. Occorre inoltre che sia debitamente dimostrato che, nelle specifiche circostanze di una situazione concreta, una siffatta pratica sia tale da incidere sul consenso di una persona normalmente informata nonché ragionevolmente attenta ed avveduta, e ciò in misura tale che il suo comportamento ne sarebbe falsato in misura rilevante. 58 Infatti, spetta, in realtà, agli organi giurisdizionali nazionali determinare la reazione tipica del consumatore medio in una determinata situazione (v., in tal senso, sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark, C‑611/14, EU:C:2016:800, punto 39). 59 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Una siffatta definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive. Sulla seconda questione 60 In via preliminare, occorre rilevare che, come risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio intende accertare, con la sua seconda questione, se una pratica commerciale di «incorniciamento» possa essere considerata in ogni caso «aggressiva» ai sensi della direttiva 2005/29 ed essere quindi contraria, per questa sola ragione, alla stessa. Tuttavia, in tale seconda questione, il giudice del rinvio fa altresì riferimento alla nozione di pratica commerciale «ingannevole». Orbene, come risulta dall’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, le pratiche commerciali aggressive e ingannevoli costituiscono due categorie di pratiche commerciali sleali. Inoltre, la nozione di pratica commerciale considerata in ogni caso sleale è introdotta all’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva in parola. 61 Occorre, di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza della Corte citata al punto 41 della presente sentenza, considerare che, con la seconda questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, e gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 debbano essere interpretati nel senso che una pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento costituisce una pratica commerciale in ogni caso aggressiva o, quanto meno, una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva. 62 In primo luogo, occorre ricordare che il capo 2 della direttiva 2005/29, intitolato «Pratiche commerciali sleali», contiene due sezioni, vale a dire la sezione 1, relativa alle pratiche commerciali ingannevoli, e la sezione 2, relativa alle pratiche commerciali aggressive. 63 L’articolo 5 di detta direttiva, contenuto nel capo 2 di quest’ultima, vieta, al paragrafo 1, le pratiche commerciali sleali e stabilisce, al paragrafo 2, i criteri atti a determinare se una pratica commerciale abbia carattere sleale. 64 Detto articolo 5 precisa, al paragrafo 4, che sono sleali, in particolare, le pratiche commerciali «ingannevoli» di cui agli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29 e quelle «aggressive» di cui agli articoli 8 e 9 della medesima direttiva. 65 Il paragrafo 5 del suddetto articolo 5 indica, inoltre, che l’allegato I della direttiva 2005/29 riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali e che detto elenco, che si applica in tutti gli Stati membri, può essere modificato solo mediante revisione di tale direttiva. 66 A tal riguardo, il considerando 17 della direttiva 2005/29 precisa che, per garantire una maggiore certezza del diritto, solo le pratiche elencate in tale allegato I sono considerate in ogni caso sleali, senza che occorra effettuare una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva. 67 Poiché l’allegato I della direttiva 2005/29 costituisce un elenco completo ed esaustivo delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali, una pratica commerciale come quella dell’«incorniciamento» controversa nel procedimento principale può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva, o, più in generale, come pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva, soltanto a condizione che essa corrisponda a una delle situazioni elencate in tale allegato. 68 Orbene, una lettura di detto allegato consente di constatare l’assenza di una tale corrispondenza, la quale, del resto, non è stata addotta nel procedimento principale. 69 Pertanto, è necessario ritenere che una pratica commerciale come quella dell’«incorniciamento» di cui trattasi nel procedimento principale, consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, non costituisca una pratica che può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva, o come pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di detta direttiva. 70 Ciò detto, dato che, alla luce degli elementi del fascicolo trasmesso alla Corte, non si può escludere che l’AGCM abbia qualificato la pratica di cui trattasi nel procedimento principale come «aggressiva» a seguito di un’analisi approfondita della pratica commerciale controversa condotta tenendo conto delle circostanze del caso di specie, occorre, in secondo luogo, e al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, esaminare la questione se una pratica commerciale di «incorniciamento» possa costituire una pratica commerciale aggressiva, ai sensi della direttiva 2005/29, per il solo motivo che essa consiste nel presentare simultaneamente a un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza che sia concesso al consumatore un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei due contratti relativi a tali offerte, e ciò quand’anche tale prassi sia atta a generare una distorsione di incorniciamento, dando quindi a tale consumatore l’impressione che egli debba obbligatoriamente sottoscrivere un’assicurazione al fine di ottenere un finanziamento personale. 71 Dall’articolo 8 della direttiva 2005/29 risulta che è considerata aggressiva una pratica commerciale che, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 72 Orbene, in assenza di una definizione delle nozioni di «molestie» e di «coercizione», ai sensi di tale articolo 8, occorre, per definire queste ultime, far riferimento al senso abituale che tali termini hanno nel linguaggio corrente, il quale esclude che una pratica commerciale possa indurre una forma di molestia o di coercizione per il solo motivo che essa presenti le caratteristiche di una pratica commerciale di incorniciamento. 73 Quanto alla possibilità che una siffatta pratica commerciale possa comportare un «indebito condizionamento», ai sensi di detto articolo 8, occorre ricordare che quest’ultima nozione, definita all’articolo 2, lettera j), della direttiva 2005/29, consiste nello sfruttamento di una posizione di potere nei confronti del consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un indebito condizionamento non è necessariamente un condizionamento illecito, bensì un condizionamento che, fatta salva la sua liceità, comporta in modo attivo, attraverso una certa pressione, il condizionamento forzato della volontà del consumatore (sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 33). 74 Pertanto, l’applicazione, da parte di un professionista, di una modalità di conclusione o di modifica dei contratti può essere qualificata come «pratica commerciale aggressiva» a causa dell’esercizio di un indebito condizionamento mediante l’adozione di comportamenti sleali che hanno l’effetto di esercitare una pressione sul consumatore in modo tale che la sua libertà di scelta sia limitata considerevolmente, come comportamenti che possono risultare inopportuni per un consumatore medio o possono turbare la sua riflessione (v., in tal senso, sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 47). 75 Orbene, una prassi consistente nel presentare simultaneamente ad un consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento, senza che gli venga lasciato un periodo di riflessione tra la sottoscrizione dei contratti relativi a tali offerte, non implica, di per sé, l’esistenza di atti di pressione, quand’anche tale prassi possa generare una distorsione di incorniciamento. Di conseguenza, una siffatta prassi non può caratterizzare, da sola, un «indebito condizionamento», ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2005/29. 76 Ciò detto, occorre ricordare che la direttiva 2005/29 menziona, tra le pratiche commerciali sleali, non solo le pratiche commerciali aggressive, ma anche le pratiche commerciali ingannevoli definite all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva come comprendenti le pratiche commerciali che, in qualsiasi modo, ingannino o possano ingannare il consumatore medio per quanto riguarda, in particolare, la necessità di una manutenzione e che lo inducano o siano idonee a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 77 Nel procedimento principale, quindi, solamente se, in occasione della pratica di cui trattasi, il professionista non solo non abbia concesso al consumatore un periodo di riflessione tra la firma del contratto di finanziamento e quella del contratto di assicurazione, ma abbia inoltre fatto ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento, siffatta pratica potrà essere qualificata come «aggressiva» ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2005/29. Per contro, anche in assenza di molestie, coercizione o di indebito condizionamento, detta pratica potrà essere qualificata come «pratica commerciale ingannevole» e, di conseguenza, come «pratica commerciale sleale», se essa soddisfa le condizioni definite agli articoli 6 e 7 di tale direttiva. 78 Al riguardo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che è essenziale fornire al consumatore, anche prima della conclusione del contratto, informazioni chiare ed adeguate (v., in tal senso, sentenza del 12 giugno 2019, Orange Polska, C‑628/17, EU:C:2019:480, punto 34, nonché giurisprudenza ivi citata). 79 Orbene, la presentazione simultanea di due offerte di servizi distinti, quand’anche tali offerte non siano giuridicamente collegate, può richiedere che vengano fornite informazioni supplementari al consumatore, proprio affinché quest’ultimo non sia indotto in errore circa l’assenza di collegamento tra dette offerte. 80 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che la presentazione delle due offerte controverse nel procedimento principale avrebbe potuto indurre un consumatore a credere che non fosse possibile ottenere il finanziamento senza sottoscrivere un prodotto assicurativo di cui trattasi nel procedimento principale, tanto più che taluni rischi relativi al finanziamento erano coperti da tale polizza assicurativa, quali, in particolare, il rischio di deterioramento dello stato di salute che può impedire il rispetto degli obblighi contrattuali relativi al finanziamento. 81 Peraltro, il giudice del rinvio fa riferimento, nella sua terza questione, alla situazione di bisogno di chi normalmente chiede un finanziamento, alla complessità dei contratti sottoposti alla firma del consumatore, alla presentazione simultanea di offerte abbinate e alla brevità del termine concesso per la sottoscrizione dell’offerta interessata. 82 Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio risulta altresì che la Compass Banca sostiene di aver debitamente informato i consumatori interessati del fatto che il prodotto assicurativo di cui trattasi nel procedimento principale non era collegato al finanziamento personale e di aver consegnato a tali consumatori i documenti pertinenti, anche nell’ambito della fase precontrattuale. 83 In definitiva, spetta al giudice del rinvio verificare se la pratica commerciale di cui trattasi nel procedimento principale possa costituire una «pratica commerciale sleale», in particolare in quanto possa essere qualificata quale «pratica commerciale ingannevole», ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29, o come «pratica commerciale aggressiva» di cui agli articoli 8 e 9 di tale direttiva. 84 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, e gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 devono essere interpretati nel senso che la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva. Sulla terza questione 85 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più generalmente, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della firma del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento. 86 A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2005/29, quest’ultima intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori. 87 Come risulta dal considerando 14 della direttiva 2005/29, poiché tale armonizzazione assume la forma di un’armonizzazione completa di tali disposizioni degli Stati membri, si deve constatare che detta direttiva vieta a questi stessi Stati membri di mantenere o adottare misure rientranti in tale settore armonizzato che la direttiva 2005/29 non enuncerebbe o non autorizzerebbe, anche qualora siffatte misure mirino a garantire un livello di protezione più elevato dei consumatori (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, C‑540/08, EU:C:2010:660, punto 38). 88 Orbene, come risulta dalla risposta alla seconda questione, una pratica commerciale come quella di «incorniciamento» di cui trattasi nel procedimento principale non costituisce una pratica commerciale in ogni caso aggressiva, e neppure una pratica in ogni caso sleale, ai sensi della direttiva 2005/29. 89 Indubbiamente, in forza dell’articolo 3, paragrafo 9, di tale direttiva, in merito ai servizi finanziari definiti alla direttiva 2002/65, i quali comprendono qualsiasi servizio di natura creditizia o assicurativa, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla direttiva 2005/29 nel settore che essa armonizza. 90 Tuttavia, da un lato, una siffatta facoltà deve essere esercitata nel rispetto delle disposizioni imperative del diritto dell’Unione, eventualmente, in qualsiasi altro strumento pertinente. Dall’altro lato, affinché un’autorità possa, sul fondamento di tale facoltà, imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla direttiva 2005/29, detta facoltà deve essere stata attuata dallo Stato membro interessato con la specificità, la precisione e la chiarezza richieste dal requisito della certezza del diritto [v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2020, Subdelegación del Gobierno en Barcelona (Soggiornanti di lungo periodo), C‑503/19 e C‑592/19, EU:C:2020:629, punto 35 e giurisprudenza ivi citata]. 91 Di conseguenza, la direttiva 2005/29 osta a che un’autorità nazionale possa stabilire, al fine di tutelare i consumatori, un obbligo generale o preventivo di rispettare un determinato periodo di riflessione in caso di pratica commerciale consistente nel presentare simultaneamente un’offerta di un prodotto assicurativo e un’offerta per un contratto di finanziamento, qualora né un siffatto obbligo né la competenza di una tale autorità ad imporre un siffatto obbligo siano stati espressamente previsti dalla normativa nazionale. 92 Per contro, la direttiva 2005/29 non osta a che gli Stati membri prevedano nella loro normativa nazionale che un’autorità nazionale possa esercitare, una volta accertato, al termine di un esame circostanziato della pratica commerciale di un determinato professionista, che tale pratica è «aggressiva» e, pertanto, più in generale «sleale», ai sensi di tale direttiva, un potere di ingiunzione nei confronti di tale professionista. 93 Infatti, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2005/29, gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni di tale direttiva. 94 Ciò premesso, occorre in particolare rilevare che, da un lato, l’articolo 4 della direttiva 2005/29 enuncia espressamente che gli Stati membri non possono limitare la libera prestazione dei servizi per ragioni afferenti al settore armonizzato da tale direttiva. Dall’altro lato, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quando gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione, essi devono rispettare i diritti garantiti da quest’ultima. 95 Orbene, una misura adottata da un’autorità nazionale che, per far cessare una pratica commerciale aggressiva, imponesse il rispetto di un periodo ragionevole di riflessione tra le date di sottoscrizione di un contratto di finanziamento personale e di un contratto assicurativo potrebbe pregiudicare la libera prestazione di servizi e limitare la libertà d’impresa del professionista interessato. 96 Pertanto, conformemente al principio di proporzionalità, un’autorità nazionale può ricorrere a una siffatta misura solo se è dimostrato che, alla luce delle ragioni che hanno indotto tale autorità a qualificare come «aggressiva» o, quanto meno, come «sleale», la pratica commerciale di cui trattasi, non esistono altri mezzi altrettanto efficaci per porre fine a tale pratica che siano meno lesivi della libera prestazione di servizi e della libertà d’impresa del professionista interessato. 97 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più in generale, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della sottoscrizione del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, a meno che non esistano altri mezzi meno lesivi della libertà d’impresa che siano altrettanto efficaci per porre fine al carattere «aggressivo» o, più in generale, «sleale» di detta pratica. Sulla quarta questione 98 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 debba essere interpretato nel senso che osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento sia considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, al fine di porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti interessati. 99 Anzitutto, si deve constatare che la quarta questione riguarda la vendita abbinata di un finanziamento personale e di un prodotto assicurativo e che la distribuzione dei prodotti assicurativi è disciplinata dalla direttiva 2016/97. 100 Al riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29, in caso di contrasto tra le disposizioni di tale direttiva e altre norme dell’Unione che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, queste ultime prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici. 101 L’articolo 24 della direttiva 2016/97 assoggetta i distributori di prodotti assicurativi, venduti in abbinamento con altri prodotti, ad obblighi particolari. 102 Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97, che è l’unica disposizione presa in considerazione dal giudice del rinvio nell’ambito della sua quarta questione, se un prodotto assicurativo è accessorio rispetto a un bene o servizio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, il distributore di prodotti assicurativi deve offrire al cliente la possibilità di acquistare il bene o servizio separatamente. 103 Orbene, conformemente all’articolo 24, paragrafo 7, della direttiva 2016/97, gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni supplementari più rigorose o intervenire in casi specifici per vietare la vendita di un’assicurazione assieme a un servizio o prodotto accessorio diverso da un’assicurazione, come parte di un pacchetto o dello stesso accordo, quando possono dimostrare che tali pratiche sono dannose per i consumatori. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 92 delle sue conclusioni, tale disposizione si applica soltanto se, da un lato, il prodotto assicurativo può essere considerato il prodotto «principale» e l’altro prodotto o servizio è «accessorio» ad esso, e, dall’altro, entrambi i prodotti sono offerti «come parte di un pacchetto o dello stesso accordo». 104 Ciò detto, occorre rilevare che la norma di cui all’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 non disciplina aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, ma si limita ad esigere, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa alla lealtà della pratica commerciale di cui trattasi, che, se siffatti prodotti e/o servizi sono oggetto di una «vendita abbinata» ai consumatori, questi ultimi devono avere la possibilità di acquistarli separatamente. 105 Pertanto, detto articolo 24, paragrafo 3, non impone alle autorità nazionali competenti di andare al di là di quanto richiesto dalla direttiva 2005/29. Infatti, la disposizione di cui trattasi si limita ad esigere che, ove tali prodotti e/o servizi siano oggetto di una «vendita abbinata», i consumatori abbiano anche la possibilità di acquistarli separatamente. 106 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni, tale disposizione non obbliga nemmeno dette autorità a fare qualcosa in meno rispetto a quello che esse sono autorizzate a fare in forza della direttiva 2005/29. 107 Alla luce dell’insieme dei motivi che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2016/97 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento è considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, per porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi. Sulla quinta questione 108 Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che la qualificazione di un tipo di pratica commerciale come in ogni caso «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 di tale direttiva o, più in generale, in ogni caso «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, comporti un’inversione dell’onere della prova a carico del professionista contraria al diritto dell’Unione. 109 Come risulta dalla risposta alla seconda questione, quale fornita al punto 84 della presente sentenza, una pratica commerciale come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva o, più in generale, come pratica commerciale in ogni caso sleale, ai sensi della direttiva 2005/29. 110 Tenuto conto di tale risposta, non occorre rispondere alla quinta questione. Sulle spese 111 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che: la nozione di «consumatore medio», ai sensi di tale direttiva, deve essere definita con riferimento a un consumatore normalmente informato nonché ragionevolmente attento ed avveduto. Una siffatta definizione non esclude tuttavia che la capacità decisionale di un individuo possa essere falsata da limitazioni, quali distorsioni cognitive. 2) L’articolo 2, lettera j), l’articolo 5, paragrafi 2 e 5, nonché gli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29 devono essere interpretati nel senso che: la pratica commerciale consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale prestito non costituisce né una pratica commerciale in ogni caso aggressiva né una pratica commerciale considerata in ogni caso sleale, ai sensi di tale direttiva. 3) La direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che: essa non osta a una misura nazionale che consente a un’autorità nazionale, una volta accertato il carattere «aggressivo» o, più in generale, il carattere «sleale» di una pratica commerciale adottata da un determinato professionista, di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della sottoscrizione del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento, a meno che non esistano altri mezzi meno lesivi della libertà d’impresa che siano altrettanto efficaci per porre fine al carattere «aggressivo» o, più in generale, «sleale» di detta pratica. 4) L’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa, deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a che un’autorità nazionale esiga dal professionista, la cui pratica commerciale di incorniciamento è considerata «aggressiva», ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29, o, più in generale, «sleale», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, che, per porre fine a tale pratica, conceda al consumatore un periodo di
riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 novembre 2024.
* Lingua processuale: l’italiano. | |||||||||