Provvedimento in causa n. T-344/23 del 16/10/2024
Organo giudicante: Tribunale
Procedura: Ricorso di annullamento
Stato della causa: Concluso
Esito: Respinto

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

16 ottobre 2024 (*)

 

« Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea figurativo sr 1 – Marchi nazionali figurativi anteriori SR – Motivo di nullità relativa – Rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuti articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001] – Obbligo di motivazione – Articolo 94, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 »

Nella causa T‑344/23,

Sergio Rossi SpA, con sede in San Mauro Pascoli (Italia), rappresentata da C. Sala, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da R. Raponi, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

Stefano Ricci SpA, con sede in Fiesole (Italia), rappresentata da F. Jacobacci e N. Galizia, avvocati,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da M.J. Costeira, presidente, U. Öberg (relatore) e E. Tichy-Fisslberger, giudici,

cancelliere: R. Ūkelytė, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 18 aprile 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la Sergio Rossi SpA, ricorrente, chiede l’annullamento della decisione della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 2 maggio 2023 (procedimento R 89/2021-2) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Fatti

2        Il 28 settembre 2018, la Stefano Ricci SpA, interveniente, ha presentato all’EUIPO una domanda di nullità del marchio dell’Unione europea che era stato registrato su domanda della ricorrente depositata il 23 settembre 2016, ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)], per il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti e i servizi coperti dal marchio controverso per il quale era chiesta la dichiarazione di nullità erano prodotti e servizi delle classi 3, 9, 14, 18, 25, 26 e 35 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondevano, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 3: «Saponi; profumeria; sali da bagno profumati; olii essenziali; lozioni per capelli; prodotti per capelli; cosmetici per capelli; acqua profumata per la biancheria; sacchetti profumati; bastoncini di incenso; profumi per ambiente; pot-pourri»;

–        classe 9: «Occhiali [ottica]; occhiali da sole; montature per occhiali; catenelle per occhiali; occhiali da sport; astucci per occhiali; custodie per occhiali da sole; custodie per telefoni; custodie per telefoni cellulari; custodie adattate per computer; custodie per tablet; custodie per smartphones; custodie per lettori MP3; custodie per agende elettroniche; custodie per lettori di supporti digitali»;

–        classe 14: «Articoli di gioielleria; gemelli; fermacravatte; orologeria; bottoni per polsini; ornamenti per cappelli in metalli preziosi; ornamenti per calzature [in metalli preziosi]; ornamenti per articoli di abbigliamento in metalli preziosi»;

–        classe 18: «Bauli; valigie; borse da passeggio; borse portadocumenti; borse da viaggio; borse da spesa; cartelle per la scuola; astucci per chiavi; ombrelli; bastoni da passeggio; portafogli; portamonete; portassegni; portadocumenti; portachiavi in pelle; marsupi porta-bebé; custodie per il trasporto di abiti, camicie e vestiti; custodie per biglietti da visita; custodie per carte di credito»;

–        classe 25: «Calzature; tacchi per scarpe; suole per scarpe; suole interne; suolette per calzature; pantofole; cinture; articoli di abbigliamento, ovvero foulards, cravatte, camicie, camicette, cappelli, maglie, maglioni, felpe, berretti, costumi da bagno, T-shirt, pullovers, impermeabili, gonne, giacche, pantaloni, guanti, calze, calzini, collants»;

–        classe 26: «Fibbie per scarpe; fermagli metallici per calzature; ornamenti per calzature [non in metalli preziosi]; ganci per calzature; bottoncini a borchia [chiusure] per scarpe; pizzi ricamati»;

–        classe 35: «Servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e on-line di: saponi, profumeria, sali da bagno profumati, olii essenziali, lozioni per capelli, prodotti per capelli, cosmetici per capelli, acqua profumata per la biancheria, sacchetti profumati, bastoncini di incenso profumi per ambiente, pot-pourri; occhiali [ottica], occhiali da sole, montature per occhiali, catenelle per occhiali, occhiali da sport, astucci per occhiali, custodie per occhiali da sole, custodie per telefoni, custodie per telefoni cellulari, custodie adattate per computer, custodie per tablet, custodie per smartphones, custodie per lettori MP3, custodie per agende elettroniche, custodie per lettori di supporti digitali, articoli di gioielleria, gemelli, fermacravatte, orologeria, bottoni per polsini, ornamenti per cappelli in metalli preziosi, ornamenti per calzature [in metalli preziosi], ornamenti per articoli di abbigliamento in metalli preziosi, bauli, valigie, borse da passeggio, borse portadocumenti, borse da viaggio, borse da spesa, cartelle per la scuola, astucci per chiavi, ombrelli, bastoni da passeggio, portafogli, portamonete, portassegni, portadocumenti, portachiavi in pelle, marsupi porta-bebé, custodie per il trasporto di abiti, camicie e vestiti, custodie per biglietti da visita, custodie per carte di credito, calzature, tacchi per scarpe, suole per scarpe, suole interne, suolette per calzature, pantofole, cinture, articoli di abbigliamento, ovvero foulards, cravatte, camicie, camicette, cappelli, maglie, maglioni, felpe, berretti, costumi da bagno, T-shirt, pullovers, impermeabili, gonne, giacche, pantaloni, guanti, calze, calzini, collants; fibbie per scarpe, fermagli metallici per calzature, ornamenti per calzature [non in metalli preziosi], ganci per calzature, bottoncini a borchia [chiusure] per scarpe, pizzi ricamati».

4        La domanda di nullità si fondava segnatamente sui seguenti marchi anteriori:

–        il marchio italiano figurativo, riprodotto qui di seguito, registrato il 1º ottobre 2013 con il n. 1 560 927 per prodotti e servizi delle classi 3, 9, 14, 16, 18, 25 e 35:

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–        il marchio italiano figurativo, riprodotto qui di seguito, registrato il 1º ottobre 2013 con il n. 302 016 000 077 320 per prodotti e servizi delle classi 24, 25 e 26:

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5        Il motivo invocato a sostegno della domanda di nullità era, in particolare, quello enunciato all’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001], in combinato con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001], ossia l’esistenza di un rischio di confusione.

6        L’11 dicembre 2020, la divisione di annullamento ha accolto la domanda di nullità concludendo che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi anteriori e il marchio controverso per il grande pubblico italiano, di riferimento nel caso di specie, per tutti i prodotti e i servizi designati da detto marchio, ad eccezione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» della classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e online di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» della classe 35.

7        Il 15 gennaio 2021, la ricorrente ha presentato ricorso presso l’EUIPO avverso la decisione della divisione di annullamento.

8        Con la decisione impugnata, la commissione di ricorso ha respinto il ricorso. Tenuto conto del livello di attenzione del grande pubblico italiano, che varia da medio ad alto, dell’identità o della somiglianza di vario grado dei prodotti e dei servizi designati dai marchi in conflitto, della somiglianza visiva di grado medio e della somiglianza fonetica di grado elevato di detti marchi nonché del carattere distintivo intrinseco medio dei marchi anteriori, la commissione di ricorso ha confermato l’esistenza di un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, tra i marchi anteriori e il marchio controverso per tutti i prodotti e i servizi cui quest’ultimo si riferisce, ad esclusione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» della classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e on-line di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» della classe 35.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO e l’interveniente alle spese.

10      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese in caso di convocazione a un’udienza.

11      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

12      In udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, la ricorrente ha precisato che il suo primo capo di conclusioni doveva essere interpretato come diretto all’annullamento della decisione impugnata unicamente nei limiti in cui la commissione di ricorso ha concluso per l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi anteriori e il marchio richiesto.

 In diritto

 Sul diritto sostanziale applicabile

13      Tenuto conto della data di presentazione della domanda di registrazione di cui trattasi, vale a dire il 23 settembre 2016, che è determinante ai fini dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile, i fatti del caso di specie sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento n. 207/2009 (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Primart/EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, punto 2 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, nella misura in cui, secondo una giurisprudenza costante, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili alla data in cui esse entrano in vigore (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e giurisprudenza ivi citata), la controversia è disciplinata dalle disposizioni procedurali del regolamento 2017/1001.

14      Di conseguenza, nel caso di specie, per quanto riguarda le norme sostanziali, occorre intendere i riferimenti fatti dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata e dalle parti all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e all’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001 come riguardanti, rispettivamente, l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, di identico tenore.

 Sulla ricevibilità dei documenti prodotti in corso di causa

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 aprile 2024, la ricorrente ha prodotto la sentenza del 16 marzo 2023 della Corte d’appello di Milano (Italia) nella causa n. 2355/2021. La ricorrente fa osservare che da tale sentenza risulta che, secondo un sondaggio di opinione commissionato dall’interveniente, solo il 30% del campione di persone intervistate ha confuso i marchi in conflitto.

16      L’EUIPO e l’interveniente, in udienza, hanno contestato la ricevibilità di tale documento, in quanto la ricorrente si basava su detto documento per suffragare una questione di fatto.

17      Occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, in via eccezionale, le parti principali possono ancora produrre prove od offerte di prova prima della chiusura della fase orale del procedimento o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato.

18      Ora, occorre constatare che la sentenza della Corte d’appello di Milano, benché prodotta per la prima volta dinanzi al Tribunale, non costituisce una prova o un’offerta di prova propriamente detta, ai sensi segnatamente dell’articolo 85 del regolamento di procedura, ma riguarda la giurisprudenza nazionale, alla quale una parte ha il diritto di riferirsi per la prima volta in corso di causa [v., in tal senso, sentenza del 1º marzo 2023, Worldwide Brands/EUIPO – Wan (CAMEL), T‑552/21, non pubblicata, EU:T:2023:98, punto 25]. Infatti, né alle parti né allo stesso Tribunale può essere impedito di ispirarsi, nell’interpretazione del diritto dell’Unione europea, ad elementi tratti dalla giurisprudenza o dalla prassi decisionale nazionale [v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2016, Fon Wireless/EUIPO – Henniger (Neofon), T‑777/14, non pubblicata, EU:T:2016:253, punto 19].

19      Ne consegue che la sentenza della Corte d’appello di Milano del 16 marzo 2023, prodotta dalla ricorrente dopo la chiusura della fase scritta del procedimento, può, in quanto tale, essere presa in considerazione.

20      Per contro, nella misura in cui la ricorrente tenta di avvalersi del sondaggio di opinione menzionato in detta sentenza e invoca al riguardo prove prodotte nella relativa causa al fine di suffragare un elemento di fatto, occorre ricordare che il riferimento a detto sondaggio di opinione costituisce una nuova offerta di prova ai sensi dell’articolo 85 del regolamento di procedura. A tal proposito occorre rilevare che, come fa valere la ricorrente, la sentenza della Corte d’appello di Milano è stata notificata al suo rappresentante il 30 ottobre 2023, ossia successivamente alla fase scritta del procedimento, cosicché essa non avrebbe potuto presentare tale offerta di prova nel ricorso. Di conseguenza, si deve considerare che le circostanze di specie giustificano eccezionalmente la tardività del deposito di tale documento (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2018, Troszczynski/Parlamento, T‑550/17, non pubblicata, EU:T:2018:754, punto 25).

21      Nondimeno, dall’articolo 72 del regolamento n. 2017/1001 deriva che il Tribunale è chiamato a valutare la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dell’EUIPO controllando l’applicazione del diritto dell’Unione da esse effettuata riguardo, specificamente, agli elementi di fatto che sono stati sottoposti a tali commissioni. La funzione del Tribunale non è quella di riesaminare le circostanze di fatto alla luce dei documenti presentati per la prima volta dinanzi ad esso [sentenze dell’11 maggio 2006, Sunrider/UAMI, C‑416/04 P, EU:C:2006:310, punto 55, e del 14 maggio 2009, Fiorucci/UAMI – Edwin (ELIO FIORUCCI), T‑165/06, EU:T:2009:157, punto 22]. Orbene, il sondaggio di opinione, menzionato nella sentenza della Corte d’appello di Milano, non è stato oggetto di esame da parte della commissione di ricorso ai fini dell’adozione della decisione impugnata.

22      Ne consegue che, anche se la sentenza della Corte d’appello di Milano prodotta dalla ricorrente non è di per sé irricevibile, il sondaggio di opinione, menzionato in detta sentenza, non può essere preso in considerazione dal Tribunale.

 Nel merito

23      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; il secondo, su un «eccesso di potere» e carenza di giurisdizione da parte della commissione di ricorso; il terzo, su un’omessa motivazione e sulla violazione dei principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione; e, il quarto, sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

24      Alla luce del contenuto di tali quattro motivi, occorre esaminare, in un primo momento e congiuntamente, il primo e il terzo motivo, vertenti, entrambi, sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, poi, in un secondo momento e congiuntamente, il secondo motivo, vertente su un difetto di competenza della commissione di ricorso, e il quarto motivo, che contesta la valutazione effettuata da quest’ultima del rischio di confusione tra i marchi in conflitto. A tal riguardo occorre rilevare che, con il suo secondo motivo, la ricorrente contesta in realtà la valutazione, da parte della commissione di ricorso, del carattere distintivo dei marchi anteriori e quindi anche la valutazione del rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

 Sul primo e sul terzo motivo, vertenti su una violazione dellarticolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali nonché su una violazione dei principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione

25      Con il suo primo motivo, la ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione. Secondo la ricorrente, da una sentenza del Tribunale di Milano (Italia) del 21 giugno 2021 risulta che l’interveniente riconosce che le due lettere «S» e «R» dei marchi anteriori non sono immediatamente percepibili. La ricorrente censura alla commissione di ricorso di non aver preso posizione su tale affermazione dell’interveniente nella decisione impugnata. A suo parere, tale omissione è decisiva dato che, in forza degli articoli 1324 e 1362 del Codice civile italiano, il deposito dei marchi nazionali deve essere interpretato secondo la comune intenzione delle parti. Orbene, se la combinazione delle lettere «S» e «R» non è immediatamente percepibile nei marchi anteriori, mancherebbe uno dei requisiti stabiliti all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, vale a dire la somiglianza fra i marchi.

26      Con il suo terzo motivo, la ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha violato i principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione nonché l’obbligo di motivazione in quanto, nell’affermare il proprio dissenso dalla sentenza del Tribunale di Milano, essa ha meramente richiamato la sentenza del 20 febbraio 2018, Kwang Yang Motor/EUIPO – Schmidt (CK1) (T‑45/17, non pubblicata, EU:T:2018:85), senza argomentare alcunché a supporto della sua tesi. Inoltre, la commissione di ricorso avrebbe omesso di fornire esaustive indicazioni sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto e sul carattere distintivo dei marchi anteriori.

27      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

28      Occorre ricordare che, in forza dell’articolo 75 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 94 del regolamento 2017/1001), le decisioni dell’EUIPO devono essere motivate. Tale obbligo di motivazione ha la stessa portata di quello derivante dall’articolo 296 TFUE e dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali, ai sensi dei quali il ragionamento dell’autore dell’atto deve apparire in modo chiaro e inequivocabile. Esso ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della decisione. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto per accertare se la motivazione di un atto soddisfi le prescrizioni di cui all’articolo 296 TFUE occorre far riferimento non solo al suo tenore, ma anche al suo contesto e al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi [sentenza del 23 settembre 2000, CEDC International/EUIPO ‑ Underberg (Forma di un filo d’erba in una bottiglia), T‑796/16, EU:T:2020:439, punto 186 (non pubblicata)].

29      Inoltre, l’obbligo di motivazione non impone alle commissioni di ricorso di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti dinanzi ad esse. È sufficiente che espongano i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia della decisione [v., in tal senso, sentenza del 15 gennaio 2015, MEM/UAMI (MONACO) (T‑197/13, EU:T:2015:16, punto 19 e giurisprudenza ivi citata].

30      Orbene, dalla decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha esposto in modo chiaro e inequivocabile le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che esistesse un rischio di confusione tra il marchio controverso e i marchi anteriori. In primo luogo, essa ha ricordato, ai punti da 77 a 80 di detta decisione, le disposizioni applicabili e la giurisprudenza della Corte in materia di rischio di confusione. In secondo luogo, ai punti da 81 a 94 di tale decisione, la commissione di ricorso ha confrontato i prodotti e i servizi designati dal marchio controverso con i prodotti e i servizi contrassegnati dai marchi anteriori. In terzo luogo, ai punti da 95 a 97 della medesima decisione, essa ha definito il pubblico di riferimento e il livello di attenzione di quest’ultimo. In quarto luogo, ai punti da 98 a 107 della decisione impugnata, essa ha effettuato un confronto fra i marchi in conflitto e ha concluso che essi presentavano un grado di somiglianza medio sul piano visivo e un grado di somiglianza elevato sul piano fonetico. In quinto luogo, ai punti da 108 a 114 di tale decisione, la commissione di ricorso ha constatato che i marchi anteriori possedevano un carattere distintivo intrinseco medio. In sesto luogo, ai punti da 117 a 126 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha effettuato una valutazione globale del rischio di confusione e ha concluso per la sussistenza di un tale rischio tra i marchi in conflitto.

31      Pertanto, la commissione di ricorso ha esposto le considerazioni giuridiche e i fatti pertinenti che rivestivano un’importanza essenziale nell’economia della decisione impugnata. La motivazione esposta dalla commissione di ricorso in detta decisione ha consentito alla ricorrente di comprenderne i motivi e di proporre un ricorso al fine di contestarne la fondatezza e, successivamente, al Tribunale di esercitare il suo controllo.

32      Peraltro, per quanto riguarda il primo motivo, l’argomento della ricorrente, secondo cui l’interveniente riconosce che le due lettere «S» e «R» dei marchi anteriori non sono immediatamente percepibili, è menzionato al punto 13 della decisione impugnata, nell’ambito della riproduzione degli argomenti delle parti. Ciò significa che la commissione di ricorso ha preso in considerazione tale argomento in sede di valutazione [v., per analogia, sentenza del 18 ottobre 2016, Raimund Schmitt Verpachtungsgesellschaft/EUIPO (Brauwelt), T‑56/15, EU:T:2016:618, punto 131]. Di conseguenza, l’argomento della ricorrente non può essere accolto.

33      Per quanto riguarda il terzo motivo della ricorrente, al punto 124 della decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ritiene di potersi «senza dubbio» discostare dall’esito della sentenza del Tribunale di Milano, per lo meno in quanto quest’ultima si fonda su presupposti giuridici non conformi alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. In primo luogo, riguardo alla valutazione del Tribunale di Milano secondo cui una combinazione di due lettere stilizzate costituisce un «marchio debole», la commissione di ricorso ritiene che tale valutazione sia contraria alla sentenza del 20 febbraio 2018, Kwang Yang Motor/EUIPO – Schmidt (CK1) (T‑45/17, non pubblicata, EU:T:2018:85, punto 56), nella quale il Tribunale ha ritenuto che un marchio composto dalle lettere «C» e «K» stilizzate possedesse un carattere distintivo intrinseco medio. In secondo luogo, riguardo alla valutazione del Tribunale di Milano secondo cui il pubblico di riferimento può prestare particolare attenzione all’acquisto dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto, la commissione di ricorso ritiene che tale constatazione sia contraria alla giurisprudenza costante del Tribunale secondo cui il livello di attenzione del pubblico nell’acquisto dei prodotti in questione è da considerarsi non superiore al medio. A sostegno di tale affermazione, la commissione di ricorso fa riferimento alla sentenza dell’8 marzo 2023, Sympatex Technologies/EUIPO – Liwe Española (Sympathy Inside) (T‑372/21, non pubblicata, EU:T:2023:111, punti 86 e 87 e giurisprudenza ivi citata).

34      Pertanto, come sottolineato dalla commissione di ricorso al punto 124 della decisione impugnata, quest’ultima ha debitamente tenuto conto della giurisprudenza nazionale invocata dalla ricorrente e ne ha valutato la pertinenza in ciascun caso, tanto più che si trattava di sentenze relative agli stessi marchi in conflitto e al territorio interessato, anche se è giunta ad una conclusione diversa.

35      Benché il ragionamento della commissione di ricorso sia succinto su tale questione, esso consente alla ricorrente di comprendere appieno le ragioni per le quali la commissione di ricorso si è discostata dalla valutazione del carattere distintivo dei marchi anteriori e del livello di attenzione del pubblico di riferimento effettuata dal Tribunale di Milano.

36      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui il punto 124 della decisione impugnata viola i principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione, è giocoforza constatare che la giurisprudenza che essa invoca a sostegno di tale argomento, ossia la sentenza del 28 giugno 2018, EUIPO/Puma (C‑564/16 P, EU:C:2018:509, punto 66), riguarda l’obbligo della commissione di ricorso di motivare le differenze rispetto a decisioni anteriori sulla notorietà di un marchio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, e non l’obbligo di motivare una differenza di valutazione nel merito rispetto a una decisione di un giudice nazionale sull’esistenza di un rischio di confusione. In secondo luogo, in ogni caso, il regime dei marchi dell’Unione europea è autonomo e la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso si valuta unicamente sulla base del regolamento n. 207/2009, per cui l’EUIPO o, su ricorso, il Tribunale non sono tenuti a pervenire a risultati identici a quelli raggiunti dai giudici nazionali in una situazione simile.

37      Va poi osservato che la ricorrente, nel ricorso, si limita a sostenere che la commissione di ricorso ha omesso di fornire indicazioni esaustive sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto e sul carattere distintivo dei marchi anteriori, senza sviluppare in alcun modo tale affermazione. Ebbene, è giocoforza constatare che la commissione di ricorso ha fornito indicazioni esaustive sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto ai punti 102 e 103 della decisione impugnata, così come ha fornito indicazioni esaustive sul carattere distintivo dei marchi anteriori ai punti da 108 a 114 della decisione impugnata.

38      Ne consegue che il primo e il terzo motivo della ricorrente devono essere respinti in quanto infondati.

 Sul secondo e sul quarto motivo, vertenti su una violazione dellarticolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

39      Con il suo secondo e quarto motivo, la ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha violato l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

40      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

41      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, un marchio è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

42      Il rischio di confusione è la probabilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Esso dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

43      Il rischio di confusione presuppone, peraltro, sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI — easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

44      È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare se la commissione di ricorso abbia correttamente ritenuto che sussistesse, nel caso di specie, un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

 Sul pubblico di riferimento e sul suo livello d’attenzione

45      Nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio del pubblico di riferimento può variare in funzione della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi [sentenze del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 26; del 12 gennaio 2006, Ruiz-Picasso e a./UAMI, C‑361/04 P, EU:C:2006:25, punto 38, e del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42].

46      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che il territorio rilevante fosse l’Italia. Dato che i marchi anteriori sono marchi italiani, tale considerazione, del resto non contestata dalle parti, deve essere confermata.

47      La commissione di ricorso ha ritenuto che il pubblico di riferimento per i prodotti di cui trattasi fosse il grande pubblico, capace di dar prova di un livello di attenzione da medio a elevato a seconda del prodotto. Ad esempio, il livello di attenzione sarebbe elevato per l’acquisto di articoli di gioielleria o di ornamenti in metalli preziosi e normale per l’acquisto di capi di abbigliamento.

48      Non occorre rimettere in discussione la valutazione della commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente, secondo cui il livello di attenzione del pubblico di riferimento nel settore della gioielleria è elevato.

49      Per contro, secondo la ricorrente, non sarebbe corretto affermare che, nel caso di altri prodotti, il pubblico di riferimento mostri un livello di attenzione medio. Al riguardo la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del fatto che il pubblico di riferimento è italiano. Secondo la ricorrente, il pubblico italiano presta un grado di attenzione elevato nell’acquisto dei prodotti di moda compresi nelle classi 3, 18 e 25.

50      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

51      Occorre rilevare, come sottolineato dall’EUIPO in udienza in risposta a un quesito del Tribunale, che nessun elemento nelle denominazioni dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto indica che si tratti di prodotti di lusso. Secondo la giurisprudenza, i prodotti rientranti nelle classi 18 e 25, in mancanza di altre precisazioni quanto alla loro eventuale natura di prodotti di lusso, devono essere considerati di consumo corrente e rivolti al grande pubblico, che si presume non presti un livello di attenzione particolarmente elevato nei loro confronti [sentenza del 26 marzo 2015, Royal County of Berkshire Polo Club/UAMI – Lifestyle Equities (Royal County of Berkshire POLO CLUB), T‑581/13, non pubblicata, EU:T:2015:192, punto 34]. Il livello di attenzione riservato a detti prodotti non sarà superiore alla media, dato che tali prodotti non sono né onerosi né rari, il loro acquisto e il loro utilizzo non richiedono conoscenze specifiche e essi stessi non hanno un impatto grave sulla salute, sul bilancio o sulla vita del loro consumatore [sentenza del 15 luglio 2020, Itinerant Show Room/EUIPO – Save the Duck (FAKE DUCK), T‑371/19, non pubblicata, EU:T:2020:339, punto 28].

52      È altresì accertato che i prodotti rientranti nella classe 3 sono prodotti di consumo corrente che possono essere acquistati ad un prezzo relativamente basso e che si rivolgono al grande pubblico, il quale dimostra un livello di attenzione medio [sentenza del 7 marzo 2019, Laverana/EUIPO – Agroecopark (VERA GREEN), T‑106/18, non pubblicata, EU:T:2019:143, punto 26].

53      Alla luce di quanto precede, e tenuto conto del fatto che la ricorrente non ha sviluppato in alcun modo le ragioni per le quali il pubblico italiano in particolare darebbe generalmente prova di un livello di attenzione più elevato rispetto al pubblico di riferimento in altri Stati membri al momento dell’acquisto dei prodotti rientranti nelle classi 3, 18 e 25, la censura di quest’ultima deve essere respinta, senza che sia necessario che il Tribunale si pronunci sulla sua ricevibilità, la quale è contestata dall’interveniente.

54      Pertanto, la commissione di ricorso non è incorsa in errori di valutazione nel concludere che il livello di attenzione del pubblico di riferimento era medio per l’acquisto dei prodotti delle classi 3, 18 e 25.

 Sulla comparazione dei prodotti e servizi

55      Ai punti da 81 a 94 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha fatto propri i motivi della divisione di annullamento, secondo i quali i prodotti e i servizi di cui trattasi erano in parte identici e in parte simili in diversa misura, ad eccezione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» rientranti nella classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e online di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» rientranti nella classe 35, che sono stati considerati non simili.

56      Nessun elemento agli atti consente di rimettere in discussione la valutazione operata dalla commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente.

 Sulla comparazione dei segni

57      La valutazione globale del rischio di confusione deve basarsi, per quanto riguarda la somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che il consumatore medio ha dei prodotti o servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tal proposito, il consumatore medio, di norma, percepisce un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli dettagli (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

58      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e a compararla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42). È quanto potrebbe verificarsi in particolare quando tale componente è in grado di dominare da sola l’immagine del marchio che al pubblico di riferimento resta in mente, al punto che tutte le altre componenti del marchio risultano trascurabili nell’impressione complessiva prodotta da quest’ultimo (sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 43).

–       Sugli elementi distintivi e dominanti dei marchi in conflitto

59      La commissione di ricorso ha ritenuto che le lettere «s» e «r» costituissero l’elemento dominante nel marchio controverso. A suo avviso, l’elemento numerico 1 non era di per sé un elemento particolarmente distintivo, essendo generalmente percepito in senso elogiativo.

60      Per quanto riguarda i marchi anteriori, la commissione di ricorso ha considerato che essi rappresentavano le lettere «“S” ed “R” intrecciate, laddove la parte inferiore della lettera “S” si inserisce nell’asola della lettera “R”». L’elemento figurativo formato dall’«intreccio» non sarebbe sufficiente a distogliere l’attenzione del consumatore dall’elemento denominativo formato dalla combinazione delle lettere «S» e «R».

61      Tali valutazioni della commissione di ricorso non sono contestate dalla ricorrente e nessun elemento del fascicolo consente di rimetterle in discussione.

–       Sulla somiglianza visiva

62      La commissione di ricorso ha considerato che i segni in conflitto erano simili sul piano visivo, nella misura in cui comprendevano il binomio «SR», ed erano, invece, dissimili in ragione della particolare stilizzazione di tale binomio e della presenza dell’elemento numerico 1 solo nel marchio controverso. Secondo la commissione di ricorso, le differenze tra i marchi in conflitto non erano tali da distogliere l’attenzione dei consumatori dall’elemento denominativo comune «SR». In conclusione, la commissione di ricorso ha ritenuto che i segni in conflitto presentassero un grado di somiglianza medio sul piano visivo.

63      Nessun elemento agli atti consente di rimettere in discussione la valutazione operata dalla commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente.

–       Sulla somiglianza fonetica

64      La commissione di ricorso ha considerato che i segni in conflitto erano simili in quanto erano tutti e tre pronunciati come «esse-erre» e che l’unica differenza era data dall’elemento numerico 1 nel marchio controverso. Tenuto conto del fatto che detti segni coincidevano foneticamente nella parte iniziale, la cui pronuncia dava luogo a un suono più lungo, e considerato il carattere distintivo limitato dell’elemento 1, la commissione di ricorso ha ritenuto che la somiglianza fonetica di tali segni fosse di grado elevato.

65      Non vi è luogo a rimettere in discussione tale valutazione, che appare conforme agli elementi del fascicolo e che, del resto, non è contestata dalla ricorrente.

–       Sulla somiglianza concettuale

66      La commissione di ricorso ha concluso che i segni in conflitto erano concettualmente non simili, posto che il binomio comune a tutti loro – «SR» – era privo di qualsiasi significato e che l’elemento numerico 1 del marchio controverso significava «uno» o «primo». Tuttavia, tale dissimilitudine non sarebbe particolarmente pertinente, in quanto l’elemento numerico 1 del marchio controverso sarebbe un elemento scarsamente distintivo.

67      Tale valutazione, del resto non contestata dalla ricorrente, è esente da errori e deve essere confermata.

 Sul carattere distintivo dei marchi anteriori

68      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che i marchi anteriori possedessero un carattere distintivo intrinseco medio, dato che il pubblico di riferimento non percepirebbe alcun nesso semantico tra detti marchi e i prodotti e i servizi da essi protetti.

69      La ricorrente afferma che, nella sentenza del 21 giugno 2021, il Tribunale di Milano ha escluso la confondibilità del marchio controverso coi marchi anteriori. Nella suddetta sentenza, il Tribunale di Milano avrebbe ritenuto che i marchi anteriori fossero dotati di un carattere distintivo intrinseco debole, posto che detti marchi sono composti unicamente da due lettere dell’alfabeto. Secondo la ricorrente, il Tribunale di Milano è l’organo giurisdizionalmente competente a valutare la forza distintiva dei marchi anteriori, e il rischio di confusione tra i marchi in conflitto dovrebbe essere valutato sulla base del carattere distintivo intrinseco debole dei marchi anteriori e non tanto sulla base della loro media intrinseca capacità distintiva.

70      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

71      Occorre rammentare che, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità basato sull’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la valutazione del carattere distintivo intrinseco del marchio anteriore costituisce una questione di diritto necessaria per garantire la corretta applicazione di tale regolamento, cosicché gli organi dell’EUIPO sono tenuti a esaminare tale questione. Solo l’EUIPO è in grado di individuare e valutare il carattere distintivo intrinseco dei marchi anteriori sui quali si fonda la domanda di dichiarazione di nullità (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2020, Primart/EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, punto 43).

72      Tale constatazione non è in contraddizione con il punto 26 della sentenza del 12 novembre 2008, Shaker/UAMI – Limiñana y Botella (Limoncello della Costiera Amalfitana shaker) (T‑7/04, EU:T:2008:481), invocato dalla ricorrente al punto 11 del ricorso, secondo cui la validità di un marchio nazionale può essere messa in discussione solo nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità avviato nello Stato membro interessato. Infatti, come giustamente sottolineato dall’EUIPO, se è vero che la validità di un marchio nazionale può essere messa in discussione solo nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità avviato nello Stato membro interessato, non per questo la valutazione del carattere distintivo di tale marchio rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale.

73      Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui il Tribunale di Milano sarebbe, nel caso di specie, l’unico organo competente a valutare il carattere distintivo dei marchi anteriori deve essere respinto in quanto infondato.

74      Ciò posto, poiché nessun elemento del fascicolo consente di rimettere in discussione le valutazioni della commissione di ricorso secondo le quali i marchi anteriori possiedono un grado distintivo intrinseco medio, non occorre rimettere in discussione tali valutazioni.

75      A tal riguardo, dalla giurisprudenza risulta che un segno costituito da una sola lettera è, in linea di principio, dotato di un carattere distintivo minimo o debole, se non molto debole, quando detta lettera non è stilizzata o è solo leggermente stilizzata o ancora quando gli altri elementi figurativi del segno di cui trattasi non colpiscono. Per contro, quando un segno è costituito da una lettera altamente stilizzata o accompagnata da altri elementi figurativi relativamente lavorati, a tale segno può essere riconosciuto un carattere distintivo normale o medio [v. sentenze del 9 novembre 2022, L’Oréal/EUIPO – Heinze (K K WATER), T‑610/21, non pubblicata, EU:T:2022:700, punto 56 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 ottobre 2023, Quantic Dream/EUIPO – Quentia (Q), T‑458/21, non pubblicata, EU:T:2023:671, punto 66 e giurisprudenza ivi citata]. Lo stesso vale necessariamente per un segno costituito, nel suo elemento denominativo, da due lettere dell’alfabeto che siano rappresentate in forma stilizzata.

 Sulla valutazione globale del rischio di confusione

76      Tenuto conto del fatto che i segni in conflitto presentavano notevoli somiglianze visive e fonetiche e del fatto che la differenza concettuale dovuta alla presenza dell’elemento numerico 1 nel marchio controverso non era particolarmente rilevante in quanto riguardava un elemento scarsamente distintivo, la commissione di ricorso ha ritenuto che il pubblico di riferimento potesse percepire il marchio controverso come un’altra versione dei marchi anteriori, piuttosto che come un marchio distinto con un’origine commerciale diversa. Pertanto, applicando il principio dell’interdipendenza tra i fattori pertinenti, la commissione di ricorso ha ritenuto che esistesse un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, tra i marchi in conflitto, non solo rispetto a tutti i prodotti ritenuti identici, ma anche rispetto ai prodotti considerati simili o poco simili.

77      La ricorrente rileva che l’interveniente distribuisce i propri prodotti attraverso canali rigidamente controllati e, per lo più, in negozi monomarca. Ciò escluderebbe il rischio di confusione, atteso che sarebbe impossibile che il consumatore medio dei prodotti dell’interveniente, che compra solo in un contesto monomarca o quasi tale, abbia la possibilità di procedere a un confronto diretto dei marchi in conflitto.

78      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

79      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI ‑ Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

80      In primo luogo, da quanto precede risulta che il pubblico di riferimento è composto dal grande pubblico, che dimostra un livello di attenzione che varia da medio a elevato, e che il territorio di riferimento è quello dell’Italia.

81      In secondo luogo, i prodotti e i servizi designati dal marchio controverso sono in parte identici e in parte simili, in diverso grado, a quelli contrassegnati dai marchi anteriori.

82      In terzo luogo, i marchi anteriori possiedono un carattere distintivo intrinseco medio.

83      In quarto luogo, i segni in conflitto sono visivamente simili in grado medio e foneticamente simili in grado elevato, mentre la differenza concettuale tra loro non è particolarmente pertinente nel caso di specie.

84      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve constatare che la commissione di ricorso non è incorsa in alcun errore di valutazione nel considerare che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

85      Tale conclusione non è rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente secondo cui l’interveniente distribuisce i suoi prodotti attraverso canali rigorosamente controllati. Infatti, poiché le modalità particolari di commercializzazione dei prodotti possono variare nel tempo e secondo la volontà dei titolari dei marchi in conflitto, esse non sono, in linea di principio, pertinenti ai fini dell’analisi prospettica del rischio di confusione tra detti marchi (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2007, T.I.M.E. ART/UAMI, C‑171/06 P, non pubblicata, EU:T:2007:171, punto 59).

86      Tutto ciò considerato, il secondo e il quarto motivo dedotti dalla ricorrente a sostegno delle sue conclusioni non possono essere accolti.

87      Occorre pertanto respingere integralmente il ricorso, senza che sia necessario che il Tribunale si pronunci sulla ricevibilità degli allegati da B.5 a B.7 del controricorso dell’interveniente, contestata dalla ricorrente in udienza.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

89      Poiché la ricorrente è rimasta soccombente e si è tenuta un’udienza, occorre condannarla alle spese, conformemente alla domanda dell’EUIPO e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Sergio Rossi SpA è condannata alle spese.

Costeira

Öberg

Tichy-Fisslberger

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 ottobre 2024.

Il cancelliere

 

Il presidente

V. Di Bucci

 

S. Papasavvas


*      Lingua processuale: l’italiano.

 

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

16 ottobre 2024 (*)

 

« Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea figurativo sr 1 – Marchi nazionali figurativi anteriori SR – Motivo di nullità relativa – Rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuti articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/1001] – Obbligo di motivazione – Articolo 94, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 »

Nella causa T‑344/23,

Sergio Rossi SpA, con sede in San Mauro Pascoli (Italia), rappresentata da C. Sala, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da R. Raponi, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

Stefano Ricci SpA, con sede in Fiesole (Italia), rappresentata da F. Jacobacci e N. Galizia, avvocati,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da M.J. Costeira, presidente, U. Öberg (relatore) e E. Tichy-Fisslberger, giudici,

cancelliere: R. Ūkelytė, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 18 aprile 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la Sergio Rossi SpA, ricorrente, chiede l’annullamento della decisione della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 2 maggio 2023 (procedimento R 89/2021-2) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Fatti

2        Il 28 settembre 2018, la Stefano Ricci SpA, interveniente, ha presentato all’EUIPO una domanda di nullità del marchio dell’Unione europea che era stato registrato su domanda della ricorrente depositata il 23 settembre 2016, ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)], per il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti e i servizi coperti dal marchio controverso per il quale era chiesta la dichiarazione di nullità erano prodotti e servizi delle classi 3, 9, 14, 18, 25, 26 e 35 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondevano, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 3: «Saponi; profumeria; sali da bagno profumati; olii essenziali; lozioni per capelli; prodotti per capelli; cosmetici per capelli; acqua profumata per la biancheria; sacchetti profumati; bastoncini di incenso; profumi per ambiente; pot-pourri»;

–        classe 9: «Occhiali [ottica]; occhiali da sole; montature per occhiali; catenelle per occhiali; occhiali da sport; astucci per occhiali; custodie per occhiali da sole; custodie per telefoni; custodie per telefoni cellulari; custodie adattate per computer; custodie per tablet; custodie per smartphones; custodie per lettori MP3; custodie per agende elettroniche; custodie per lettori di supporti digitali»;

–        classe 14: «Articoli di gioielleria; gemelli; fermacravatte; orologeria; bottoni per polsini; ornamenti per cappelli in metalli preziosi; ornamenti per calzature [in metalli preziosi]; ornamenti per articoli di abbigliamento in metalli preziosi»;

–        classe 18: «Bauli; valigie; borse da passeggio; borse portadocumenti; borse da viaggio; borse da spesa; cartelle per la scuola; astucci per chiavi; ombrelli; bastoni da passeggio; portafogli; portamonete; portassegni; portadocumenti; portachiavi in pelle; marsupi porta-bebé; custodie per il trasporto di abiti, camicie e vestiti; custodie per biglietti da visita; custodie per carte di credito»;

–        classe 25: «Calzature; tacchi per scarpe; suole per scarpe; suole interne; suolette per calzature; pantofole; cinture; articoli di abbigliamento, ovvero foulards, cravatte, camicie, camicette, cappelli, maglie, maglioni, felpe, berretti, costumi da bagno, T-shirt, pullovers, impermeabili, gonne, giacche, pantaloni, guanti, calze, calzini, collants»;

–        classe 26: «Fibbie per scarpe; fermagli metallici per calzature; ornamenti per calzature [non in metalli preziosi]; ganci per calzature; bottoncini a borchia [chiusure] per scarpe; pizzi ricamati»;

–        classe 35: «Servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e on-line di: saponi, profumeria, sali da bagno profumati, olii essenziali, lozioni per capelli, prodotti per capelli, cosmetici per capelli, acqua profumata per la biancheria, sacchetti profumati, bastoncini di incenso profumi per ambiente, pot-pourri; occhiali [ottica], occhiali da sole, montature per occhiali, catenelle per occhiali, occhiali da sport, astucci per occhiali, custodie per occhiali da sole, custodie per telefoni, custodie per telefoni cellulari, custodie adattate per computer, custodie per tablet, custodie per smartphones, custodie per lettori MP3, custodie per agende elettroniche, custodie per lettori di supporti digitali, articoli di gioielleria, gemelli, fermacravatte, orologeria, bottoni per polsini, ornamenti per cappelli in metalli preziosi, ornamenti per calzature [in metalli preziosi], ornamenti per articoli di abbigliamento in metalli preziosi, bauli, valigie, borse da passeggio, borse portadocumenti, borse da viaggio, borse da spesa, cartelle per la scuola, astucci per chiavi, ombrelli, bastoni da passeggio, portafogli, portamonete, portassegni, portadocumenti, portachiavi in pelle, marsupi porta-bebé, custodie per il trasporto di abiti, camicie e vestiti, custodie per biglietti da visita, custodie per carte di credito, calzature, tacchi per scarpe, suole per scarpe, suole interne, suolette per calzature, pantofole, cinture, articoli di abbigliamento, ovvero foulards, cravatte, camicie, camicette, cappelli, maglie, maglioni, felpe, berretti, costumi da bagno, T-shirt, pullovers, impermeabili, gonne, giacche, pantaloni, guanti, calze, calzini, collants; fibbie per scarpe, fermagli metallici per calzature, ornamenti per calzature [non in metalli preziosi], ganci per calzature, bottoncini a borchia [chiusure] per scarpe, pizzi ricamati».

4        La domanda di nullità si fondava segnatamente sui seguenti marchi anteriori:

–        il marchio italiano figurativo, riprodotto qui di seguito, registrato il 1º ottobre 2013 con il n. 1 560 927 per prodotti e servizi delle classi 3, 9, 14, 16, 18, 25 e 35:

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–        il marchio italiano figurativo, riprodotto qui di seguito, registrato il 1º ottobre 2013 con il n. 302 016 000 077 320 per prodotti e servizi delle classi 24, 25 e 26:

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5        Il motivo invocato a sostegno della domanda di nullità era, in particolare, quello enunciato all’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001], in combinato con l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001], ossia l’esistenza di un rischio di confusione.

6        L’11 dicembre 2020, la divisione di annullamento ha accolto la domanda di nullità concludendo che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi anteriori e il marchio controverso per il grande pubblico italiano, di riferimento nel caso di specie, per tutti i prodotti e i servizi designati da detto marchio, ad eccezione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» della classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e online di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» della classe 35.

7        Il 15 gennaio 2021, la ricorrente ha presentato ricorso presso l’EUIPO avverso la decisione della divisione di annullamento.

8        Con la decisione impugnata, la commissione di ricorso ha respinto il ricorso. Tenuto conto del livello di attenzione del grande pubblico italiano, che varia da medio ad alto, dell’identità o della somiglianza di vario grado dei prodotti e dei servizi designati dai marchi in conflitto, della somiglianza visiva di grado medio e della somiglianza fonetica di grado elevato di detti marchi nonché del carattere distintivo intrinseco medio dei marchi anteriori, la commissione di ricorso ha confermato l’esistenza di un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, tra i marchi anteriori e il marchio controverso per tutti i prodotti e i servizi cui quest’ultimo si riferisce, ad esclusione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» della classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e on-line di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» della classe 35.

 Conclusioni delle parti

9        La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO e l’interveniente alle spese.

10      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese in caso di convocazione a un’udienza.

11      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

12      In udienza, in risposta a un quesito del Tribunale, la ricorrente ha precisato che il suo primo capo di conclusioni doveva essere interpretato come diretto all’annullamento della decisione impugnata unicamente nei limiti in cui la commissione di ricorso ha concluso per l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi anteriori e il marchio richiesto.

 In diritto

 Sul diritto sostanziale applicabile

13      Tenuto conto della data di presentazione della domanda di registrazione di cui trattasi, vale a dire il 23 settembre 2016, che è determinante ai fini dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile, i fatti del caso di specie sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento n. 207/2009 (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Primart/EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, punto 2 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, nella misura in cui, secondo una giurisprudenza costante, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili alla data in cui esse entrano in vigore (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e giurisprudenza ivi citata), la controversia è disciplinata dalle disposizioni procedurali del regolamento 2017/1001.

14      Di conseguenza, nel caso di specie, per quanto riguarda le norme sostanziali, occorre intendere i riferimenti fatti dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata e dalle parti all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e all’articolo 60, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001 come riguardanti, rispettivamente, l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, di identico tenore.

 Sulla ricevibilità dei documenti prodotti in corso di causa

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 aprile 2024, la ricorrente ha prodotto la sentenza del 16 marzo 2023 della Corte d’appello di Milano (Italia) nella causa n. 2355/2021. La ricorrente fa osservare che da tale sentenza risulta che, secondo un sondaggio di opinione commissionato dall’interveniente, solo il 30% del campione di persone intervistate ha confuso i marchi in conflitto.

16      L’EUIPO e l’interveniente, in udienza, hanno contestato la ricevibilità di tale documento, in quanto la ricorrente si basava su detto documento per suffragare una questione di fatto.

17      Occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, in via eccezionale, le parti principali possono ancora produrre prove od offerte di prova prima della chiusura della fase orale del procedimento o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato.

18      Ora, occorre constatare che la sentenza della Corte d’appello di Milano, benché prodotta per la prima volta dinanzi al Tribunale, non costituisce una prova o un’offerta di prova propriamente detta, ai sensi segnatamente dell’articolo 85 del regolamento di procedura, ma riguarda la giurisprudenza nazionale, alla quale una parte ha il diritto di riferirsi per la prima volta in corso di causa [v., in tal senso, sentenza del 1º marzo 2023, Worldwide Brands/EUIPO – Wan (CAMEL), T‑552/21, non pubblicata, EU:T:2023:98, punto 25]. Infatti, né alle parti né allo stesso Tribunale può essere impedito di ispirarsi, nell’interpretazione del diritto dell’Unione europea, ad elementi tratti dalla giurisprudenza o dalla prassi decisionale nazionale [v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2016, Fon Wireless/EUIPO – Henniger (Neofon), T‑777/14, non pubblicata, EU:T:2016:253, punto 19].

19      Ne consegue che la sentenza della Corte d’appello di Milano del 16 marzo 2023, prodotta dalla ricorrente dopo la chiusura della fase scritta del procedimento, può, in quanto tale, essere presa in considerazione.

20      Per contro, nella misura in cui la ricorrente tenta di avvalersi del sondaggio di opinione menzionato in detta sentenza e invoca al riguardo prove prodotte nella relativa causa al fine di suffragare un elemento di fatto, occorre ricordare che il riferimento a detto sondaggio di opinione costituisce una nuova offerta di prova ai sensi dell’articolo 85 del regolamento di procedura. A tal proposito occorre rilevare che, come fa valere la ricorrente, la sentenza della Corte d’appello di Milano è stata notificata al suo rappresentante il 30 ottobre 2023, ossia successivamente alla fase scritta del procedimento, cosicché essa non avrebbe potuto presentare tale offerta di prova nel ricorso. Di conseguenza, si deve considerare che le circostanze di specie giustificano eccezionalmente la tardività del deposito di tale documento (v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2018, Troszczynski/Parlamento, T‑550/17, non pubblicata, EU:T:2018:754, punto 25).

21      Nondimeno, dall’articolo 72 del regolamento n. 2017/1001 deriva che il Tribunale è chiamato a valutare la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso dell’EUIPO controllando l’applicazione del diritto dell’Unione da esse effettuata riguardo, specificamente, agli elementi di fatto che sono stati sottoposti a tali commissioni. La funzione del Tribunale non è quella di riesaminare le circostanze di fatto alla luce dei documenti presentati per la prima volta dinanzi ad esso [sentenze dell’11 maggio 2006, Sunrider/UAMI, C‑416/04 P, EU:C:2006:310, punto 55, e del 14 maggio 2009, Fiorucci/UAMI – Edwin (ELIO FIORUCCI), T‑165/06, EU:T:2009:157, punto 22]. Orbene, il sondaggio di opinione, menzionato nella sentenza della Corte d’appello di Milano, non è stato oggetto di esame da parte della commissione di ricorso ai fini dell’adozione della decisione impugnata.

22      Ne consegue che, anche se la sentenza della Corte d’appello di Milano prodotta dalla ricorrente non è di per sé irricevibile, il sondaggio di opinione, menzionato in detta sentenza, non può essere preso in considerazione dal Tribunale.

 Nel merito

23      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; il secondo, su un «eccesso di potere» e carenza di giurisdizione da parte della commissione di ricorso; il terzo, su un’omessa motivazione e sulla violazione dei principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione; e, il quarto, sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

24      Alla luce del contenuto di tali quattro motivi, occorre esaminare, in un primo momento e congiuntamente, il primo e il terzo motivo, vertenti, entrambi, sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, poi, in un secondo momento e congiuntamente, il secondo motivo, vertente su un difetto di competenza della commissione di ricorso, e il quarto motivo, che contesta la valutazione effettuata da quest’ultima del rischio di confusione tra i marchi in conflitto. A tal riguardo occorre rilevare che, con il suo secondo motivo, la ricorrente contesta in realtà la valutazione, da parte della commissione di ricorso, del carattere distintivo dei marchi anteriori e quindi anche la valutazione del rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

 Sul primo e sul terzo motivo, vertenti su una violazione dellarticolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali nonché su una violazione dei principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione

25      Con il suo primo motivo, la ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da un difetto di motivazione. Secondo la ricorrente, da una sentenza del Tribunale di Milano (Italia) del 21 giugno 2021 risulta che l’interveniente riconosce che le due lettere «S» e «R» dei marchi anteriori non sono immediatamente percepibili. La ricorrente censura alla commissione di ricorso di non aver preso posizione su tale affermazione dell’interveniente nella decisione impugnata. A suo parere, tale omissione è decisiva dato che, in forza degli articoli 1324 e 1362 del Codice civile italiano, il deposito dei marchi nazionali deve essere interpretato secondo la comune intenzione delle parti. Orbene, se la combinazione delle lettere «S» e «R» non è immediatamente percepibile nei marchi anteriori, mancherebbe uno dei requisiti stabiliti all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, vale a dire la somiglianza fra i marchi.

26      Con il suo terzo motivo, la ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha violato i principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione nonché l’obbligo di motivazione in quanto, nell’affermare il proprio dissenso dalla sentenza del Tribunale di Milano, essa ha meramente richiamato la sentenza del 20 febbraio 2018, Kwang Yang Motor/EUIPO – Schmidt (CK1) (T‑45/17, non pubblicata, EU:T:2018:85), senza argomentare alcunché a supporto della sua tesi. Inoltre, la commissione di ricorso avrebbe omesso di fornire esaustive indicazioni sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto e sul carattere distintivo dei marchi anteriori.

27      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

28      Occorre ricordare che, in forza dell’articolo 75 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 94 del regolamento 2017/1001), le decisioni dell’EUIPO devono essere motivate. Tale obbligo di motivazione ha la stessa portata di quello derivante dall’articolo 296 TFUE e dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali, ai sensi dei quali il ragionamento dell’autore dell’atto deve apparire in modo chiaro e inequivocabile. Esso ha il duplice scopo di consentire, da un lato, agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti e, dall’altro, al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della decisione. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto per accertare se la motivazione di un atto soddisfi le prescrizioni di cui all’articolo 296 TFUE occorre far riferimento non solo al suo tenore, ma anche al suo contesto e al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi [sentenza del 23 settembre 2000, CEDC International/EUIPO ‑ Underberg (Forma di un filo d’erba in una bottiglia), T‑796/16, EU:T:2020:439, punto 186 (non pubblicata)].

29      Inoltre, l’obbligo di motivazione non impone alle commissioni di ricorso di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti dinanzi ad esse. È sufficiente che espongano i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia della decisione [v., in tal senso, sentenza del 15 gennaio 2015, MEM/UAMI (MONACO) (T‑197/13, EU:T:2015:16, punto 19 e giurisprudenza ivi citata].

30      Orbene, dalla decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha esposto in modo chiaro e inequivocabile le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che esistesse un rischio di confusione tra il marchio controverso e i marchi anteriori. In primo luogo, essa ha ricordato, ai punti da 77 a 80 di detta decisione, le disposizioni applicabili e la giurisprudenza della Corte in materia di rischio di confusione. In secondo luogo, ai punti da 81 a 94 di tale decisione, la commissione di ricorso ha confrontato i prodotti e i servizi designati dal marchio controverso con i prodotti e i servizi contrassegnati dai marchi anteriori. In terzo luogo, ai punti da 95 a 97 della medesima decisione, essa ha definito il pubblico di riferimento e il livello di attenzione di quest’ultimo. In quarto luogo, ai punti da 98 a 107 della decisione impugnata, essa ha effettuato un confronto fra i marchi in conflitto e ha concluso che essi presentavano un grado di somiglianza medio sul piano visivo e un grado di somiglianza elevato sul piano fonetico. In quinto luogo, ai punti da 108 a 114 di tale decisione, la commissione di ricorso ha constatato che i marchi anteriori possedevano un carattere distintivo intrinseco medio. In sesto luogo, ai punti da 117 a 126 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha effettuato una valutazione globale del rischio di confusione e ha concluso per la sussistenza di un tale rischio tra i marchi in conflitto.

31      Pertanto, la commissione di ricorso ha esposto le considerazioni giuridiche e i fatti pertinenti che rivestivano un’importanza essenziale nell’economia della decisione impugnata. La motivazione esposta dalla commissione di ricorso in detta decisione ha consentito alla ricorrente di comprenderne i motivi e di proporre un ricorso al fine di contestarne la fondatezza e, successivamente, al Tribunale di esercitare il suo controllo.

32      Peraltro, per quanto riguarda il primo motivo, l’argomento della ricorrente, secondo cui l’interveniente riconosce che le due lettere «S» e «R» dei marchi anteriori non sono immediatamente percepibili, è menzionato al punto 13 della decisione impugnata, nell’ambito della riproduzione degli argomenti delle parti. Ciò significa che la commissione di ricorso ha preso in considerazione tale argomento in sede di valutazione [v., per analogia, sentenza del 18 ottobre 2016, Raimund Schmitt Verpachtungsgesellschaft/EUIPO (Brauwelt), T‑56/15, EU:T:2016:618, punto 131]. Di conseguenza, l’argomento della ricorrente non può essere accolto.

33      Per quanto riguarda il terzo motivo della ricorrente, al punto 124 della decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ritiene di potersi «senza dubbio» discostare dall’esito della sentenza del Tribunale di Milano, per lo meno in quanto quest’ultima si fonda su presupposti giuridici non conformi alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. In primo luogo, riguardo alla valutazione del Tribunale di Milano secondo cui una combinazione di due lettere stilizzate costituisce un «marchio debole», la commissione di ricorso ritiene che tale valutazione sia contraria alla sentenza del 20 febbraio 2018, Kwang Yang Motor/EUIPO – Schmidt (CK1) (T‑45/17, non pubblicata, EU:T:2018:85, punto 56), nella quale il Tribunale ha ritenuto che un marchio composto dalle lettere «C» e «K» stilizzate possedesse un carattere distintivo intrinseco medio. In secondo luogo, riguardo alla valutazione del Tribunale di Milano secondo cui il pubblico di riferimento può prestare particolare attenzione all’acquisto dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto, la commissione di ricorso ritiene che tale constatazione sia contraria alla giurisprudenza costante del Tribunale secondo cui il livello di attenzione del pubblico nell’acquisto dei prodotti in questione è da considerarsi non superiore al medio. A sostegno di tale affermazione, la commissione di ricorso fa riferimento alla sentenza dell’8 marzo 2023, Sympatex Technologies/EUIPO – Liwe Española (Sympathy Inside) (T‑372/21, non pubblicata, EU:T:2023:111, punti 86 e 87 e giurisprudenza ivi citata).

34      Pertanto, come sottolineato dalla commissione di ricorso al punto 124 della decisione impugnata, quest’ultima ha debitamente tenuto conto della giurisprudenza nazionale invocata dalla ricorrente e ne ha valutato la pertinenza in ciascun caso, tanto più che si trattava di sentenze relative agli stessi marchi in conflitto e al territorio interessato, anche se è giunta ad una conclusione diversa.

35      Benché il ragionamento della commissione di ricorso sia succinto su tale questione, esso consente alla ricorrente di comprendere appieno le ragioni per le quali la commissione di ricorso si è discostata dalla valutazione del carattere distintivo dei marchi anteriori e del livello di attenzione del pubblico di riferimento effettuata dal Tribunale di Milano.

36      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui il punto 124 della decisione impugnata viola i principi di legalità, di parità di trattamento e di buona amministrazione, è giocoforza constatare che la giurisprudenza che essa invoca a sostegno di tale argomento, ossia la sentenza del 28 giugno 2018, EUIPO/Puma (C‑564/16 P, EU:C:2018:509, punto 66), riguarda l’obbligo della commissione di ricorso di motivare le differenze rispetto a decisioni anteriori sulla notorietà di un marchio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, e non l’obbligo di motivare una differenza di valutazione nel merito rispetto a una decisione di un giudice nazionale sull’esistenza di un rischio di confusione. In secondo luogo, in ogni caso, il regime dei marchi dell’Unione europea è autonomo e la legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso si valuta unicamente sulla base del regolamento n. 207/2009, per cui l’EUIPO o, su ricorso, il Tribunale non sono tenuti a pervenire a risultati identici a quelli raggiunti dai giudici nazionali in una situazione simile.

37      Va poi osservato che la ricorrente, nel ricorso, si limita a sostenere che la commissione di ricorso ha omesso di fornire indicazioni esaustive sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto e sul carattere distintivo dei marchi anteriori, senza sviluppare in alcun modo tale affermazione. Ebbene, è giocoforza constatare che la commissione di ricorso ha fornito indicazioni esaustive sugli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto ai punti 102 e 103 della decisione impugnata, così come ha fornito indicazioni esaustive sul carattere distintivo dei marchi anteriori ai punti da 108 a 114 della decisione impugnata.

38      Ne consegue che il primo e il terzo motivo della ricorrente devono essere respinti in quanto infondati.

 Sul secondo e sul quarto motivo, vertenti su una violazione dellarticolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

39      Con il suo secondo e quarto motivo, la ricorrente fa valere che la commissione di ricorso ha violato l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

40      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

41      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, un marchio è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

42      Il rischio di confusione è la probabilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Esso dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

43      Il rischio di confusione presuppone, peraltro, sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI — easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

44      È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare se la commissione di ricorso abbia correttamente ritenuto che sussistesse, nel caso di specie, un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

 Sul pubblico di riferimento e sul suo livello d’attenzione

45      Nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio del pubblico di riferimento può variare in funzione della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi [sentenze del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 26; del 12 gennaio 2006, Ruiz-Picasso e a./UAMI, C‑361/04 P, EU:C:2006:25, punto 38, e del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42].

46      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che il territorio rilevante fosse l’Italia. Dato che i marchi anteriori sono marchi italiani, tale considerazione, del resto non contestata dalle parti, deve essere confermata.

47      La commissione di ricorso ha ritenuto che il pubblico di riferimento per i prodotti di cui trattasi fosse il grande pubblico, capace di dar prova di un livello di attenzione da medio a elevato a seconda del prodotto. Ad esempio, il livello di attenzione sarebbe elevato per l’acquisto di articoli di gioielleria o di ornamenti in metalli preziosi e normale per l’acquisto di capi di abbigliamento.

48      Non occorre rimettere in discussione la valutazione della commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente, secondo cui il livello di attenzione del pubblico di riferimento nel settore della gioielleria è elevato.

49      Per contro, secondo la ricorrente, non sarebbe corretto affermare che, nel caso di altri prodotti, il pubblico di riferimento mostri un livello di attenzione medio. Al riguardo la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto del fatto che il pubblico di riferimento è italiano. Secondo la ricorrente, il pubblico italiano presta un grado di attenzione elevato nell’acquisto dei prodotti di moda compresi nelle classi 3, 18 e 25.

50      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

51      Occorre rilevare, come sottolineato dall’EUIPO in udienza in risposta a un quesito del Tribunale, che nessun elemento nelle denominazioni dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto indica che si tratti di prodotti di lusso. Secondo la giurisprudenza, i prodotti rientranti nelle classi 18 e 25, in mancanza di altre precisazioni quanto alla loro eventuale natura di prodotti di lusso, devono essere considerati di consumo corrente e rivolti al grande pubblico, che si presume non presti un livello di attenzione particolarmente elevato nei loro confronti [sentenza del 26 marzo 2015, Royal County of Berkshire Polo Club/UAMI – Lifestyle Equities (Royal County of Berkshire POLO CLUB), T‑581/13, non pubblicata, EU:T:2015:192, punto 34]. Il livello di attenzione riservato a detti prodotti non sarà superiore alla media, dato che tali prodotti non sono né onerosi né rari, il loro acquisto e il loro utilizzo non richiedono conoscenze specifiche e essi stessi non hanno un impatto grave sulla salute, sul bilancio o sulla vita del loro consumatore [sentenza del 15 luglio 2020, Itinerant Show Room/EUIPO – Save the Duck (FAKE DUCK), T‑371/19, non pubblicata, EU:T:2020:339, punto 28].

52      È altresì accertato che i prodotti rientranti nella classe 3 sono prodotti di consumo corrente che possono essere acquistati ad un prezzo relativamente basso e che si rivolgono al grande pubblico, il quale dimostra un livello di attenzione medio [sentenza del 7 marzo 2019, Laverana/EUIPO – Agroecopark (VERA GREEN), T‑106/18, non pubblicata, EU:T:2019:143, punto 26].

53      Alla luce di quanto precede, e tenuto conto del fatto che la ricorrente non ha sviluppato in alcun modo le ragioni per le quali il pubblico italiano in particolare darebbe generalmente prova di un livello di attenzione più elevato rispetto al pubblico di riferimento in altri Stati membri al momento dell’acquisto dei prodotti rientranti nelle classi 3, 18 e 25, la censura di quest’ultima deve essere respinta, senza che sia necessario che il Tribunale si pronunci sulla sua ricevibilità, la quale è contestata dall’interveniente.

54      Pertanto, la commissione di ricorso non è incorsa in errori di valutazione nel concludere che il livello di attenzione del pubblico di riferimento era medio per l’acquisto dei prodotti delle classi 3, 18 e 25.

 Sulla comparazione dei prodotti e servizi

55      Ai punti da 81 a 94 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha fatto propri i motivi della divisione di annullamento, secondo i quali i prodotti e i servizi di cui trattasi erano in parte identici e in parte simili in diversa misura, ad eccezione dei «tacchi per scarpe» e delle «suole per scarpe» rientranti nella classe 25 e dei «servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso e online di: tacchi per scarpe; suole per scarpe» rientranti nella classe 35, che sono stati considerati non simili.

56      Nessun elemento agli atti consente di rimettere in discussione la valutazione operata dalla commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente.

 Sulla comparazione dei segni

57      La valutazione globale del rischio di confusione deve basarsi, per quanto riguarda la somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, tenendo conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che il consumatore medio ha dei prodotti o servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tal proposito, il consumatore medio, di norma, percepisce un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli dettagli (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

58      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e a compararla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42). È quanto potrebbe verificarsi in particolare quando tale componente è in grado di dominare da sola l’immagine del marchio che al pubblico di riferimento resta in mente, al punto che tutte le altre componenti del marchio risultano trascurabili nell’impressione complessiva prodotta da quest’ultimo (sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 43).

–       Sugli elementi distintivi e dominanti dei marchi in conflitto

59      La commissione di ricorso ha ritenuto che le lettere «s» e «r» costituissero l’elemento dominante nel marchio controverso. A suo avviso, l’elemento numerico 1 non era di per sé un elemento particolarmente distintivo, essendo generalmente percepito in senso elogiativo.

60      Per quanto riguarda i marchi anteriori, la commissione di ricorso ha considerato che essi rappresentavano le lettere «“S” ed “R” intrecciate, laddove la parte inferiore della lettera “S” si inserisce nell’asola della lettera “R”». L’elemento figurativo formato dall’«intreccio» non sarebbe sufficiente a distogliere l’attenzione del consumatore dall’elemento denominativo formato dalla combinazione delle lettere «S» e «R».

61      Tali valutazioni della commissione di ricorso non sono contestate dalla ricorrente e nessun elemento del fascicolo consente di rimetterle in discussione.

–       Sulla somiglianza visiva

62      La commissione di ricorso ha considerato che i segni in conflitto erano simili sul piano visivo, nella misura in cui comprendevano il binomio «SR», ed erano, invece, dissimili in ragione della particolare stilizzazione di tale binomio e della presenza dell’elemento numerico 1 solo nel marchio controverso. Secondo la commissione di ricorso, le differenze tra i marchi in conflitto non erano tali da distogliere l’attenzione dei consumatori dall’elemento denominativo comune «SR». In conclusione, la commissione di ricorso ha ritenuto che i segni in conflitto presentassero un grado di somiglianza medio sul piano visivo.

63      Nessun elemento agli atti consente di rimettere in discussione la valutazione operata dalla commissione di ricorso, del resto non contestata dalla ricorrente.

–       Sulla somiglianza fonetica

64      La commissione di ricorso ha considerato che i segni in conflitto erano simili in quanto erano tutti e tre pronunciati come «esse-erre» e che l’unica differenza era data dall’elemento numerico 1 nel marchio controverso. Tenuto conto del fatto che detti segni coincidevano foneticamente nella parte iniziale, la cui pronuncia dava luogo a un suono più lungo, e considerato il carattere distintivo limitato dell’elemento 1, la commissione di ricorso ha ritenuto che la somiglianza fonetica di tali segni fosse di grado elevato.

65      Non vi è luogo a rimettere in discussione tale valutazione, che appare conforme agli elementi del fascicolo e che, del resto, non è contestata dalla ricorrente.

–       Sulla somiglianza concettuale

66      La commissione di ricorso ha concluso che i segni in conflitto erano concettualmente non simili, posto che il binomio comune a tutti loro – «SR» – era privo di qualsiasi significato e che l’elemento numerico 1 del marchio controverso significava «uno» o «primo». Tuttavia, tale dissimilitudine non sarebbe particolarmente pertinente, in quanto l’elemento numerico 1 del marchio controverso sarebbe un elemento scarsamente distintivo.

67      Tale valutazione, del resto non contestata dalla ricorrente, è esente da errori e deve essere confermata.

 Sul carattere distintivo dei marchi anteriori

68      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che i marchi anteriori possedessero un carattere distintivo intrinseco medio, dato che il pubblico di riferimento non percepirebbe alcun nesso semantico tra detti marchi e i prodotti e i servizi da essi protetti.

69      La ricorrente afferma che, nella sentenza del 21 giugno 2021, il Tribunale di Milano ha escluso la confondibilità del marchio controverso coi marchi anteriori. Nella suddetta sentenza, il Tribunale di Milano avrebbe ritenuto che i marchi anteriori fossero dotati di un carattere distintivo intrinseco debole, posto che detti marchi sono composti unicamente da due lettere dell’alfabeto. Secondo la ricorrente, il Tribunale di Milano è l’organo giurisdizionalmente competente a valutare la forza distintiva dei marchi anteriori, e il rischio di confusione tra i marchi in conflitto dovrebbe essere valutato sulla base del carattere distintivo intrinseco debole dei marchi anteriori e non tanto sulla base della loro media intrinseca capacità distintiva.

70      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

71      Occorre rammentare che, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità basato sull’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la valutazione del carattere distintivo intrinseco del marchio anteriore costituisce una questione di diritto necessaria per garantire la corretta applicazione di tale regolamento, cosicché gli organi dell’EUIPO sono tenuti a esaminare tale questione. Solo l’EUIPO è in grado di individuare e valutare il carattere distintivo intrinseco dei marchi anteriori sui quali si fonda la domanda di dichiarazione di nullità (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2020, Primart/EUIPO, C‑702/18 P, EU:C:2020:489, punto 43).

72      Tale constatazione non è in contraddizione con il punto 26 della sentenza del 12 novembre 2008, Shaker/UAMI – Limiñana y Botella (Limoncello della Costiera Amalfitana shaker) (T‑7/04, EU:T:2008:481), invocato dalla ricorrente al punto 11 del ricorso, secondo cui la validità di un marchio nazionale può essere messa in discussione solo nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità avviato nello Stato membro interessato. Infatti, come giustamente sottolineato dall’EUIPO, se è vero che la validità di un marchio nazionale può essere messa in discussione solo nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità avviato nello Stato membro interessato, non per questo la valutazione del carattere distintivo di tale marchio rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale.

73      Pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui il Tribunale di Milano sarebbe, nel caso di specie, l’unico organo competente a valutare il carattere distintivo dei marchi anteriori deve essere respinto in quanto infondato.

74      Ciò posto, poiché nessun elemento del fascicolo consente di rimettere in discussione le valutazioni della commissione di ricorso secondo le quali i marchi anteriori possiedono un grado distintivo intrinseco medio, non occorre rimettere in discussione tali valutazioni.

75      A tal riguardo, dalla giurisprudenza risulta che un segno costituito da una sola lettera è, in linea di principio, dotato di un carattere distintivo minimo o debole, se non molto debole, quando detta lettera non è stilizzata o è solo leggermente stilizzata o ancora quando gli altri elementi figurativi del segno di cui trattasi non colpiscono. Per contro, quando un segno è costituito da una lettera altamente stilizzata o accompagnata da altri elementi figurativi relativamente lavorati, a tale segno può essere riconosciuto un carattere distintivo normale o medio [v. sentenze del 9 novembre 2022, L’Oréal/EUIPO – Heinze (K K WATER), T‑610/21, non pubblicata, EU:T:2022:700, punto 56 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 ottobre 2023, Quantic Dream/EUIPO – Quentia (Q), T‑458/21, non pubblicata, EU:T:2023:671, punto 66 e giurisprudenza ivi citata]. Lo stesso vale necessariamente per un segno costituito, nel suo elemento denominativo, da due lettere dell’alfabeto che siano rappresentate in forma stilizzata.

 Sulla valutazione globale del rischio di confusione

76      Tenuto conto del fatto che i segni in conflitto presentavano notevoli somiglianze visive e fonetiche e del fatto che la differenza concettuale dovuta alla presenza dell’elemento numerico 1 nel marchio controverso non era particolarmente rilevante in quanto riguardava un elemento scarsamente distintivo, la commissione di ricorso ha ritenuto che il pubblico di riferimento potesse percepire il marchio controverso come un’altra versione dei marchi anteriori, piuttosto che come un marchio distinto con un’origine commerciale diversa. Pertanto, applicando il principio dell’interdipendenza tra i fattori pertinenti, la commissione di ricorso ha ritenuto che esistesse un rischio di confusione, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, tra i marchi in conflitto, non solo rispetto a tutti i prodotti ritenuti identici, ma anche rispetto ai prodotti considerati simili o poco simili.

77      La ricorrente rileva che l’interveniente distribuisce i propri prodotti attraverso canali rigidamente controllati e, per lo più, in negozi monomarca. Ciò escluderebbe il rischio di confusione, atteso che sarebbe impossibile che il consumatore medio dei prodotti dell’interveniente, che compra solo in un contesto monomarca o quasi tale, abbia la possibilità di procedere a un confronto diretto dei marchi in conflitto.

78      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

79      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI ‑ Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

80      In primo luogo, da quanto precede risulta che il pubblico di riferimento è composto dal grande pubblico, che dimostra un livello di attenzione che varia da medio a elevato, e che il territorio di riferimento è quello dell’Italia.

81      In secondo luogo, i prodotti e i servizi designati dal marchio controverso sono in parte identici e in parte simili, in diverso grado, a quelli contrassegnati dai marchi anteriori.

82      In terzo luogo, i marchi anteriori possiedono un carattere distintivo intrinseco medio.

83      In quarto luogo, i segni in conflitto sono visivamente simili in grado medio e foneticamente simili in grado elevato, mentre la differenza concettuale tra loro non è particolarmente pertinente nel caso di specie.

84      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve constatare che la commissione di ricorso non è incorsa in alcun errore di valutazione nel considerare che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

85      Tale conclusione non è rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente secondo cui l’interveniente distribuisce i suoi prodotti attraverso canali rigorosamente controllati. Infatti, poiché le modalità particolari di commercializzazione dei prodotti possono variare nel tempo e secondo la volontà dei titolari dei marchi in conflitto, esse non sono, in linea di principio, pertinenti ai fini dell’analisi prospettica del rischio di confusione tra detti marchi (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2007, T.I.M.E. ART/UAMI, C‑171/06 P, non pubblicata, EU:T:2007:171, punto 59).

86      Tutto ciò considerato, il secondo e il quarto motivo dedotti dalla ricorrente a sostegno delle sue conclusioni non possono essere accolti.

87      Occorre pertanto respingere integralmente il ricorso, senza che sia necessario che il Tribunale si pronunci sulla ricevibilità degli allegati da B.5 a B.7 del controricorso dell’interveniente, contestata dalla ricorrente in udienza.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

89      Poiché la ricorrente è rimasta soccombente e si è tenuta un’udienza, occorre condannarla alle spese, conformemente alla domanda dell’EUIPO e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Sergio Rossi SpA è condannata alle spese.

Costeira

Öberg

Tichy-Fisslberger

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 ottobre 2024.

Il cancelliere

 

Il presidente

V. Di Bucci

 

S. Papasavvas


*      Lingua processuale: l’italiano.

Provvedimento in causa n. T-344/23 del 16/10/2024