Provvedimento in causa n. C‑144/22 del 15/12/2022
Organo giudicante: Corte di giustizia
Procedura: Rinvio pregiudiziale
Stato della causa: Concluso
Esito: Definito

ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

15 dicembre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 53 e 99 del regolamento di procedura della Corte – Articolo 267 TFUE – Portata dell’obbligo di rinvio dei giudici nazionali di ultima istanza – Eccezioni a tale obbligo – Criteri – Situazioni in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio – Presupposto, applicabile al giudice nazionale di ultima istanza, di essere convinto che la medesima evidenza si imponga anche agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte»

Nella causa C‑144/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 25 gennaio 2022, pervenuta in cancelleria il 28 febbraio 2022, nel procedimento

Società Eredi Raimondo Bufarini Srl – Servizi Ambientali

contro

Ministero dell’Interno,

Ministero della Transizione Ecologica,

Comitato tecnico regionale delle Marche,

Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del D.Lgs. 105/2015,

nei confronti di:

Regione Marche,

FP,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da P.G. Xuereb, presidente di sezione, A. Arabadjiev (relatore), presidente della Prima Sezione, e I. Ziemele, giudice,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, e all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 267 TFUE, nonché della direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, recante modifica e successiva abrogazione della direttiva 96/82/CE del Consiglio (GU 2012, L 197, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Società Eredi Raimondo Bufarini Srl – Servizi Ambientali e il Comitato tecnico regionale delle Marche (Italia), in merito alla determinazione con cui quest’ultimo ha diffidato tale società a presentare una notifica e un rapporto di sicurezza richiesti dalla normativa italiana relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.

 Contesto normativo

 Direttiva 2008/98/CE

3        L’articolo 23 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3), come modificata dalla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018 (GU 2018, L 150, pag. 109), così dispone:

«1.      Gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente.

Tali autorizzazioni precisano almeno quanto segue:

a)      i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati;

b)      per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato;

c)      le misure precauzionali e di sicurezza da prendere;

d)      il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;

e)      le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;

f)      le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie.

2.      Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato ed essere rinnovate.

3.      L’autorità competente nega l’autorizzazione qualora ritenga che il metodo di trattamento previsto sia inaccettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente, in particolare quando non sia conforme all’articolo 13.

4.      Le autorizzazioni concernenti l’incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di efficienza energetica.

5.      A condizione che le prescrizioni del presente articolo siano rispettate, l’autorizzazione rilasciata in virtù di un’altra normativa nazionale o comunitaria può essere combinata con l’autorizzazione di cui al paragrafo 1 in un’unica autorizzazione, qualora tale formato permetta di evitare una ripetizione inutile delle informazioni e dei lavori effettuati dall’operatore o dall’autorità competente».

 Direttiva 2010/75/UE

4        L’articolo 4 della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17), prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che nessuna installazione o nessun impianto di combustione, nessun impianto di incenerimento dei rifiuti o nessun impianto di coincenerimento dei rifiuti operi senza autorizzazione.

In deroga al primo comma, gli Stati membri possono fissare una procedura per la registrazione delle installazioni contemplate esclusivamente al capo V.

La procedura di registrazione è specificata in un atto vincolante e comprende almeno la notifica all’autorità competente, da parte del gestore, della sua intenzione di gestire un’installazione.

2.      Gli Stati membri possono scegliere di far valere un’autorizzazione per due o più installazioni o parti di esse, e gestit[e] dal medesimo gestore sullo stesso sito.

Nel caso in cui riguardi due o più installazioni, l’autorizzazione deve contenere condizioni atte a garantire che ogni installazione sia conforme ai requisiti contenuti nella presente direttiva.

3.      Gli Stati membri possono scegliere di far valere un’autorizzazione per diverse parti di un’installazione gestite da gestori differenti. In tali casi, l’autorizzazione specifica le responsabilità di ciascun gestore».

 Direttiva 2012/18

5        L’articolo 3 della direttiva 2012/18, ai suoi punti 11 e 12, così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

11)      “miscela”, una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze;

12)      “presenza di sostanze pericolose”, la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato I».

6        L’allegato I a tale direttiva, intitolato «Sostanze pericolose», prevede quanto segue:

«Le sostanze pericolose comprese nelle categorie di pericolo elencate nella colonna 1 della parte 1 del presente allegato sono soggette alle quantità limite di cui alle colonne 2 e 3 della parte 1.

Qualora una sostanza pericolosa sia compresa nella parte 1 del presente allegato e sia elencata anche nella parte 2, si applicano le quantità limite di cui alle colonne 2 e 3 della parte 2.

(...)».

7        La nota 3 relativa all’allegato I alla citata direttiva è così formulata:

«Le quantità limite summenzionate si intendono per ciascuno stabilimento.

Le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento. Ai fini del calcolo della quantità totale presente non vengono prese in considerazione le sostanze pericolose presenti in uno stabilimento unicamente in quantità uguale o inferiore al 2% della quantità limite corrispondente se il luogo in cui si trovano all’interno dello stabilimento non può innescare un incidente rilevante in nessuna altra parte di detto stabilimento».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        La ricorrente nel procedimento principale gestisce un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, a Falconara Marittima (Italia), in virtù di un’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla provincia di Ancona (Italia). Tale autorizzazione consente a detta società di stoccare fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi e di trattare fino a 200 tonnellate al giorno di rifiuti di questo tipo.

9        Il 7 novembre 2019 il direttore generale dei Vigili del Fuoco delle Marche (Italia), in qualità di presidente del Comitato tecnico regionale di tale regione, ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di redigere una relazione sulla assoggettabilità o meno dell’impianto gestito dalla ricorrente nel procedimento principale alla normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose. All’esito dell’istruttoria, tale gruppo di lavoro ha ritenuto che l’impianto di trattamento di rifiuti in parola non potesse essere escluso dal campo di applicazione di detta normativa.

10      Con determinazione del 28 maggio 2020 il Comitato tecnico regionale delle Marche, recependo le conclusioni di detto gruppo di lavoro, ha diffidato la ricorrente nel procedimento principale a conformarsi alla citata normativa.

11      Lo stesso Comitato, dopo essere stato informato che la ricorrente nel procedimento principale aveva istituito una nuova procedura di controllo delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento, ha nuovamente diffidato quest’ultima, con determinazione del 24 novembre 2020, a conformarsi alla medesima normativa oppure, in alternativa, a limitare l’utilizzo di parte dei serbatoi che si trovavano in tale stabilimento, in maniera da non superare i limiti ivi previsti.

12      La ricorrente nel procedimento principale ha impugnato la determinazione del 24 novembre 2020 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche (Italia), che ha respinto il ricorso con sentenza del 23 giugno 2021.

13      La ricorrente nel procedimento principale ha proposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, il Consiglio di Stato (Italia). Essa ha chiesto a tale giudice, in particolare, di sottoporre alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale, la questione se, al fine di individuare le sostanze pericolose presenti in uno stabilimento, ai sensi dell’articolo 3, punto 12, della direttiva 2012/18, il gestore dello stesso possa istituire una procedura di monitoraggio delle quantità di sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto di trattamento dei rifiuti da lui gestito, affinché non siano superate le soglie stabilite nelle colonne 2 e 3 dell’allegato I a detta direttiva.

14      Il giudice del rinvio ritiene che, al fine di determinare se un impianto di trattamento dei rifiuti sia assoggettato o meno alla normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, occorra verificare la presenza in un siffatto impianto di sostanze pericolose in quantità superiori ai limiti stabiliti da tale normativa.

15      A questo riguardo, dall’articolo 3, punto 12, della direttiva 2012/18 risulterebbe che, ai fini della determinazione delle sostanze pericolose presenti in uno stabilimento, si debba non solo tener conto delle sostanze pericolose effettivamente presenti in tale stabilimento, ma anche prevedere quelle che potrebbero essere presenti. Tale direttiva tratterebbe, infatti, in modo equivalente questi due tipi di sostanze.

16      Tale interpretazione sarebbe ribadita alla nota 3 dell’allegato I a detta direttiva, ai sensi della quale le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione della normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose sono le quantità massime che sono o possono essere presenti.

17      Pertanto, il giudice del rinvio ritiene che, applicando un sistema di gestione che consenta il monitoraggio e il controllo delle quantità di sostanze pericolose effettivamente presenti nello stabilimento, finalizzato a garantire che, in ogni momento, non vengano superate le quantità che determinano l’assoggettabilità alla normativa, siffatto stabilimento si sottragga all’obbligo che grava su di esso di tenere conto altresì, in via preventiva, delle sostanze di tale natura che potranno essere presenti al suo interno.

18      Tuttavia, il giudice del rinvio rileva di essere un giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento italiano, di essere chiamato a pronunciarsi su una controversia relativa all’applicazione di una normativa nazionale volta a trasporre il diritto dell’Unione e che, in tale controversia, viene dedotta una questione riguardante l’interpretazione e l’applicazione di detto diritto.

19      Il giudice del rinvio osserva che nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335), la Corte ha precisato che, al fine di evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione, laddove non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto dell’Unione.

20      Secondo detta sentenza, i giudici nazionali non sarebbero, per contro, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale, in particolare, qualora la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun dubbio ragionevole.

21      Tuttavia, i criteri che consentono di determinare la presenza di una siffatta situazione, enunciati in detta sentenza e nella giurisprudenza successiva, sarebbero difficili da accertare.

22      Orbene, l’errata applicazione di tali criteri potrebbe far sorgere la responsabilità civile dei giudici supremi italiani sulla base dell’articolo 2, comma 3-bis, della legge del 13 aprile 1988, n. 117 – Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988), disposizione ai sensi della quale, in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione, si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte. Pertanto, tali giudici sarebbero costretti, per prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento danni, a disporre sistematicamente il rinvio pregiudiziale, allungando così la durata del procedimento, in violazione del principio di ragionevole durata del processo, sancito dalla Costituzione italiana e dal diritto dell’Unione.

23      Per quanto riguarda, in particolare, il requisito, applicabile ai giudici nazionali di ultima istanza che siano certi dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto dell’Unione, di dimostrare in maniera circonstanziata che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte, requisito che risulterebbe dalle sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16), e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punti 51 e 52), sarebbe difficile, se non impossibile, escludere il «minimo dubbio» relativamente all’eventualità che un giudice di un altro Stato membro o la Corte decida la medesima questione in maniera, anche soltanto in parte, divergente.

24      La prova circostanziata dell’evidenza dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto dell’Unione costituirebbe una probatio diabolica. Il requisito così formulato dalla Corte avrebbe come conseguenza che i giudici nazionali di ultima istanza sarebbero costretti ad adire la Corte in via pregiudiziale ogni qualvolta una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione, sollevata nell’ambito della controversia di cui sono investiti, non sia materialmente identica a una questione che è già stata oggetto di una sentenza pregiudiziale della Corte.

25      Il Consiglio di Stato si chiede se l’osservanza di detto requisito debba essere accertata soggettivamente, ossia se i giudici di ultima istanza debbano esporre i motivi per cui ritengono che la propria interpretazione del diritto dell’Unione in discussione dinanzi ad essi sarebbe identica a quelle dei giudici degli altri Stati membri o della Corte, se questi ultimi fossero chiamati a interpretare le medesime disposizioni, oppure se sia sufficiente che i giudici di ultima istanza indichino in modo oggettivo i motivi per i quali non sussistono ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, senza prendere in esame l’interpretazione che potrebbero adottare altri giudici e tenendo conto del fatto che tale diritto utilizza una terminologia a esso propria, del tenore letterale della disposizione di detto diritto in questione, del contesto in cui tale disposizione si colloca, degli obiettivi di tutela a essa sottesi, nonché dello stadio di evoluzione del diritto dell’Unione nel momento in cui detta disposizione deve essere applicata.

26      Il giudice del rinvio ritiene che si debba seguire la seconda di tali alternative, in quanto essa consentirebbe di evitare di dover fornire una probatio diabolica e garantirebbe la concreta attuazione della deroga all’obbligo di rinvio, enunciata nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335).

27      Tale giudice si chiede altresì se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice supremo nazionale, il quale abbia preso in esame e respinto la domanda di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione, possa essere sottoposto, ipso iure oppure a discrezione della parte che propone l’azione, a un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

28      La risposta a tutti questi quesiti sarebbe rilevante, dal momento che il Consiglio di Stato sarebbe chiamato, nell’ambito del procedimento principale, a decidere su questioni importanti relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, la risposta alle quali non potrebbe essere ricavata dalla giurisprudenza della Corte, benché tali questioni si pongano in via meramente astratta. Infatti, il giudice del rinvio, pur escludendo l’esistenza di ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione fatte valere dalla ricorrente nel procedimento principale, ritiene di non poter dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare a tali disposizioni si imponga soggettivamente, con evidenza, anche ai giudici nazionali degli altri Stati membri e alla Corte stessa.

29      Il giudice del rinvio precisa, quindi, che lo stesso solleva la questione pregiudiziale relativa a dette disposizioni solo per il caso in cui la Corte ritenga che un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, debba conformarsi al suo obbligo di adire la Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, qualora non sia possibile dimostrare in maniera circostanziata che i giudici degli altri Stati membri e la Corte fornirebbero una risposta identica a quella individuata dal primo giudice alla questione di interpretazione del diritto dell’Unione che si pone dinanzi al medesimo.

30      In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la corretta interpretazione dell’articolo 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto [dell’Unione europea] rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea – tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto [dell’Unione europea] attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto [dell’Unione europea] al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione.

2)      Se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’articolo 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

3)      Per l’ipotesi in cui [la] Corte dovesse risolvere negativamente [le prime due questioni]:

Se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’articolo 3, numero 12, della Direttiva [2012/18] osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia [stabilita in base] ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’articolo 23 della [Direttiva 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851] o di cui all’articolo 4 della Direttiva [2010/75]), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’articolo 3, numero 11, della Direttiva [2012/18], contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva [2012/18]».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

31      Ai sensi dell’articolo 99 del regolamento di procedura, quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

32      Occorre applicare tale disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la risposta alla prima questione.

33      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, il quale, tenendo conto del fatto che il diritto dell’Unione utilizza una terminologia a esso propria, nonché della necessità di collocare ogni disposizione di tale diritto nel suo contesto e di interpretarla alla luce dell’insieme delle disposizioni di detto diritto, delle finalità dello stesso e del suo stadio di evoluzione nel momento in cui deve essere applicato, ritenga che la corretta interpretazione della disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui è investito si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio deve, per potersi astenere dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione della disposizione in parola, dimostrare in maniera circostanziata che, dal punto di vista soggettivo, gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione di detta disposizione.

34      A tal riguardo, occorre rammentare che, qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

35      Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante della Corte, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

36      Prima di concludere nel senso dell’esistenza di una situazione di tal genere, il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

37      Inoltre, la configurabilità dell’eventualità di cui al punto 35 della presente ordinanza va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

38      Si deve innanzitutto tener conto del fatto che le disposizioni del diritto dell’Unione sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

39      Infatti, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione della disposizione medesima, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le norme dell’Unione devono essere, infatti, interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

40      Se è vero che un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 44).

41      Va poi rilevato che il diritto dell’Unione impiega una terminologia che gli è propria e nozioni autonome che non presentano necessariamente lo stesso contenuto delle nozioni equivalenti che possono esistere nei diritti nazionali (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

42      Infine, ciascuna disposizione di diritto dell’Unione deve essere collocata nel suo contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni di tale diritto, delle sue finalità e dello stadio della sua evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione in parola (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

43      Pertanto, solo nel caso in cui un giudice nazionale di ultima istanza, con l’ausilio dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 36 a 42 della presente ordinanza, concluda per l’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione, esso potrà astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 47).

44      Ciò posto, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 48).

45      Tuttavia, quando l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi e tenere conto, segnatamente, dell’obiettivo perseguito dalla procedura pregiudiziale che è quello di assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 49).

46      Contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice del rinvio, dalle considerazioni che precedono non risulta che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, per poter stimare che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio e astenersi, per tale motivo, dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di detto diritto, debba «dimostrare in maniera circostanziata» che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte.

47      Infatti, da tali considerazioni risulta che i giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno devono valutare, sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione, se si trovino nell’ipotesi menzionata al punto 35 della presente ordinanza (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 50).

48      A tal riguardo, qualora un giudice nazionale di ultima istanza ritenga di trovarsi in detta ipotesi, la motivazione della sua decisione deve far emergere che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice in parola con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 51).

49      Laddove un giudice nazionale di ultima istanza, il quale ritenga di trovarsi in detta situazione, abbia maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 37 a 42 della presente ordinanza e delle considerazioni esposte ai punti da 43 a 45 della stessa, che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte condividerebbero la sua analisi, tale giudice nazionale può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità.

50      Per quanto concerne la sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), a cui fa riferimento il giudice del rinvio, occorre rilevare che, sebbene la Corte abbia affermato, al punto 51 di tale sentenza, che il giudice nazionale le cui decisioni non siano soggette a ricorso giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione, da detto punto 51 emerge che tale obbligo si impone solo qualora venga previsto, nell’ambito del procedimento principale, di avvalersi della facoltà eccezionale, in capo ai giudici nazionali, di decidere di mantenere, alle condizioni enunciate nella sentenza del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre wallonne (C‑41/11, EU:C:2012:103), taluni effetti di un atto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione.

51      Parimenti, è solo rispetto a tale facoltà eccezionale che la Corte ha dichiarato, al punto 52 della sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), che l’assenza di ragionevole dubbio relativamente all’esercizio della stessa necessita di una prova circostanziata.

52      Orbene, dagli elementi presentati alla Corte non risulta che l’esercizio di detta facoltà eccezionale sia in discussione nel procedimento principale.

53      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

 Sulla seconda questione

54      Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda o un atto introduttivo è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

55      Occorre applicare detta disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la seconda questione.

56      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di affermare la responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, laddove tale giudice abbia preso in esame e respinto la domanda, presentata da una della parti della controversia pendente dinanzi a lui, diretta a che detto giudice sottoponga alla Corte, in via pregiudiziale, una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione.

57      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte, le quali godono di una presunzione di rilevanza. Pertanto, quando la questione sollevata riguarda l’interpretazione o la validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, obbligata a pronunciarsi, salvo qualora appia manifestamente che l’interpretazione richiesta non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia ipotetico, o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari rispondere in modo utile a tale questione (sentenza del 5 maggio 2022, Zagrebačka banka, C‑567/20, EU:C:2022:352, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

58      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che il procedimento principale riguarda la contestazione, da parte di un operatore economico, di una decisione amministrativa che lo ha diffidato a presentare una notifica e un rapporto di sicurezza richiesti dalla normativa nazionale relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose e non già l’affermazione della responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno.

59      Pertanto, appare in modo manifesto che la seconda questione non ha alcuna relazione con l’oggetto del procedimento principale.

60      Ne consegue che la seconda questione è manifestamente irricevibile.

 Sulla terza questione

61      Dalla decisione di rinvio emerge che la terza questione viene sollevata solo in caso di risposta affermativa alla prima. In considerazione della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla terza questione.

 Sulle spese

62      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) così provvede:

L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea.

Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

Firme


*      Lingua processuale: l’italiano.

 

ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

15 dicembre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 53 e 99 del regolamento di procedura della Corte – Articolo 267 TFUE – Portata dell’obbligo di rinvio dei giudici nazionali di ultima istanza – Eccezioni a tale obbligo – Criteri – Situazioni in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio – Presupposto, applicabile al giudice nazionale di ultima istanza, di essere convinto che la medesima evidenza si imponga anche agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte»

Nella causa C‑144/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 25 gennaio 2022, pervenuta in cancelleria il 28 febbraio 2022, nel procedimento

Società Eredi Raimondo Bufarini Srl – Servizi Ambientali

contro

Ministero dell’Interno,

Ministero della Transizione Ecologica,

Comitato tecnico regionale delle Marche,

Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del D.Lgs. 105/2015,

nei confronti di:

Regione Marche,

FP,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da P.G. Xuereb, presidente di sezione, A. Arabadjiev (relatore), presidente della Prima Sezione, e I. Ziemele, giudice,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, e all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 267 TFUE, nonché della direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, recante modifica e successiva abrogazione della direttiva 96/82/CE del Consiglio (GU 2012, L 197, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Società Eredi Raimondo Bufarini Srl – Servizi Ambientali e il Comitato tecnico regionale delle Marche (Italia), in merito alla determinazione con cui quest’ultimo ha diffidato tale società a presentare una notifica e un rapporto di sicurezza richiesti dalla normativa italiana relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.

 Contesto normativo

 Direttiva 2008/98/CE

3        L’articolo 23 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3), come modificata dalla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018 (GU 2018, L 150, pag. 109), così dispone:

«1.      Gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente.

Tali autorizzazioni precisano almeno quanto segue:

a)      i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati;

b)      per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato;

c)      le misure precauzionali e di sicurezza da prendere;

d)      il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;

e)      le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;

f)      le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie.

2.      Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato ed essere rinnovate.

3.      L’autorità competente nega l’autorizzazione qualora ritenga che il metodo di trattamento previsto sia inaccettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente, in particolare quando non sia conforme all’articolo 13.

4.      Le autorizzazioni concernenti l’incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di efficienza energetica.

5.      A condizione che le prescrizioni del presente articolo siano rispettate, l’autorizzazione rilasciata in virtù di un’altra normativa nazionale o comunitaria può essere combinata con l’autorizzazione di cui al paragrafo 1 in un’unica autorizzazione, qualora tale formato permetta di evitare una ripetizione inutile delle informazioni e dei lavori effettuati dall’operatore o dall’autorità competente».

 Direttiva 2010/75/UE

4        L’articolo 4 della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17), prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che nessuna installazione o nessun impianto di combustione, nessun impianto di incenerimento dei rifiuti o nessun impianto di coincenerimento dei rifiuti operi senza autorizzazione.

In deroga al primo comma, gli Stati membri possono fissare una procedura per la registrazione delle installazioni contemplate esclusivamente al capo V.

La procedura di registrazione è specificata in un atto vincolante e comprende almeno la notifica all’autorità competente, da parte del gestore, della sua intenzione di gestire un’installazione.

2.      Gli Stati membri possono scegliere di far valere un’autorizzazione per due o più installazioni o parti di esse, e gestit[e] dal medesimo gestore sullo stesso sito.

Nel caso in cui riguardi due o più installazioni, l’autorizzazione deve contenere condizioni atte a garantire che ogni installazione sia conforme ai requisiti contenuti nella presente direttiva.

3.      Gli Stati membri possono scegliere di far valere un’autorizzazione per diverse parti di un’installazione gestite da gestori differenti. In tali casi, l’autorizzazione specifica le responsabilità di ciascun gestore».

 Direttiva 2012/18

5        L’articolo 3 della direttiva 2012/18, ai suoi punti 11 e 12, così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

11)      “miscela”, una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze;

12)      “presenza di sostanze pericolose”, la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato I».

6        L’allegato I a tale direttiva, intitolato «Sostanze pericolose», prevede quanto segue:

«Le sostanze pericolose comprese nelle categorie di pericolo elencate nella colonna 1 della parte 1 del presente allegato sono soggette alle quantità limite di cui alle colonne 2 e 3 della parte 1.

Qualora una sostanza pericolosa sia compresa nella parte 1 del presente allegato e sia elencata anche nella parte 2, si applicano le quantità limite di cui alle colonne 2 e 3 della parte 2.

(...)».

7        La nota 3 relativa all’allegato I alla citata direttiva è così formulata:

«Le quantità limite summenzionate si intendono per ciascuno stabilimento.

Le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento. Ai fini del calcolo della quantità totale presente non vengono prese in considerazione le sostanze pericolose presenti in uno stabilimento unicamente in quantità uguale o inferiore al 2% della quantità limite corrispondente se il luogo in cui si trovano all’interno dello stabilimento non può innescare un incidente rilevante in nessuna altra parte di detto stabilimento».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        La ricorrente nel procedimento principale gestisce un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, a Falconara Marittima (Italia), in virtù di un’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla provincia di Ancona (Italia). Tale autorizzazione consente a detta società di stoccare fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi e di trattare fino a 200 tonnellate al giorno di rifiuti di questo tipo.

9        Il 7 novembre 2019 il direttore generale dei Vigili del Fuoco delle Marche (Italia), in qualità di presidente del Comitato tecnico regionale di tale regione, ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di redigere una relazione sulla assoggettabilità o meno dell’impianto gestito dalla ricorrente nel procedimento principale alla normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose. All’esito dell’istruttoria, tale gruppo di lavoro ha ritenuto che l’impianto di trattamento di rifiuti in parola non potesse essere escluso dal campo di applicazione di detta normativa.

10      Con determinazione del 28 maggio 2020 il Comitato tecnico regionale delle Marche, recependo le conclusioni di detto gruppo di lavoro, ha diffidato la ricorrente nel procedimento principale a conformarsi alla citata normativa.

11      Lo stesso Comitato, dopo essere stato informato che la ricorrente nel procedimento principale aveva istituito una nuova procedura di controllo delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento, ha nuovamente diffidato quest’ultima, con determinazione del 24 novembre 2020, a conformarsi alla medesima normativa oppure, in alternativa, a limitare l’utilizzo di parte dei serbatoi che si trovavano in tale stabilimento, in maniera da non superare i limiti ivi previsti.

12      La ricorrente nel procedimento principale ha impugnato la determinazione del 24 novembre 2020 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche (Italia), che ha respinto il ricorso con sentenza del 23 giugno 2021.

13      La ricorrente nel procedimento principale ha proposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, il Consiglio di Stato (Italia). Essa ha chiesto a tale giudice, in particolare, di sottoporre alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale, la questione se, al fine di individuare le sostanze pericolose presenti in uno stabilimento, ai sensi dell’articolo 3, punto 12, della direttiva 2012/18, il gestore dello stesso possa istituire una procedura di monitoraggio delle quantità di sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto di trattamento dei rifiuti da lui gestito, affinché non siano superate le soglie stabilite nelle colonne 2 e 3 dell’allegato I a detta direttiva.

14      Il giudice del rinvio ritiene che, al fine di determinare se un impianto di trattamento dei rifiuti sia assoggettato o meno alla normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, occorra verificare la presenza in un siffatto impianto di sostanze pericolose in quantità superiori ai limiti stabiliti da tale normativa.

15      A questo riguardo, dall’articolo 3, punto 12, della direttiva 2012/18 risulterebbe che, ai fini della determinazione delle sostanze pericolose presenti in uno stabilimento, si debba non solo tener conto delle sostanze pericolose effettivamente presenti in tale stabilimento, ma anche prevedere quelle che potrebbero essere presenti. Tale direttiva tratterebbe, infatti, in modo equivalente questi due tipi di sostanze.

16      Tale interpretazione sarebbe ribadita alla nota 3 dell’allegato I a detta direttiva, ai sensi della quale le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione della normativa relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose sono le quantità massime che sono o possono essere presenti.

17      Pertanto, il giudice del rinvio ritiene che, applicando un sistema di gestione che consenta il monitoraggio e il controllo delle quantità di sostanze pericolose effettivamente presenti nello stabilimento, finalizzato a garantire che, in ogni momento, non vengano superate le quantità che determinano l’assoggettabilità alla normativa, siffatto stabilimento si sottragga all’obbligo che grava su di esso di tenere conto altresì, in via preventiva, delle sostanze di tale natura che potranno essere presenti al suo interno.

18      Tuttavia, il giudice del rinvio rileva di essere un giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento italiano, di essere chiamato a pronunciarsi su una controversia relativa all’applicazione di una normativa nazionale volta a trasporre il diritto dell’Unione e che, in tale controversia, viene dedotta una questione riguardante l’interpretazione e l’applicazione di detto diritto.

19      Il giudice del rinvio osserva che nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335), la Corte ha precisato che, al fine di evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione, laddove non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto dell’Unione.

20      Secondo detta sentenza, i giudici nazionali non sarebbero, per contro, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale, in particolare, qualora la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun dubbio ragionevole.

21      Tuttavia, i criteri che consentono di determinare la presenza di una siffatta situazione, enunciati in detta sentenza e nella giurisprudenza successiva, sarebbero difficili da accertare.

22      Orbene, l’errata applicazione di tali criteri potrebbe far sorgere la responsabilità civile dei giudici supremi italiani sulla base dell’articolo 2, comma 3-bis, della legge del 13 aprile 1988, n. 117 – Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988), disposizione ai sensi della quale, in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione, si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte. Pertanto, tali giudici sarebbero costretti, per prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento danni, a disporre sistematicamente il rinvio pregiudiziale, allungando così la durata del procedimento, in violazione del principio di ragionevole durata del processo, sancito dalla Costituzione italiana e dal diritto dell’Unione.

23      Per quanto riguarda, in particolare, il requisito, applicabile ai giudici nazionali di ultima istanza che siano certi dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto dell’Unione, di dimostrare in maniera circonstanziata che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte, requisito che risulterebbe dalle sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16), e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punti 51 e 52), sarebbe difficile, se non impossibile, escludere il «minimo dubbio» relativamente all’eventualità che un giudice di un altro Stato membro o la Corte decida la medesima questione in maniera, anche soltanto in parte, divergente.

24      La prova circostanziata dell’evidenza dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto dell’Unione costituirebbe una probatio diabolica. Il requisito così formulato dalla Corte avrebbe come conseguenza che i giudici nazionali di ultima istanza sarebbero costretti ad adire la Corte in via pregiudiziale ogni qualvolta una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione, sollevata nell’ambito della controversia di cui sono investiti, non sia materialmente identica a una questione che è già stata oggetto di una sentenza pregiudiziale della Corte.

25      Il Consiglio di Stato si chiede se l’osservanza di detto requisito debba essere accertata soggettivamente, ossia se i giudici di ultima istanza debbano esporre i motivi per cui ritengono che la propria interpretazione del diritto dell’Unione in discussione dinanzi ad essi sarebbe identica a quelle dei giudici degli altri Stati membri o della Corte, se questi ultimi fossero chiamati a interpretare le medesime disposizioni, oppure se sia sufficiente che i giudici di ultima istanza indichino in modo oggettivo i motivi per i quali non sussistono ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, senza prendere in esame l’interpretazione che potrebbero adottare altri giudici e tenendo conto del fatto che tale diritto utilizza una terminologia a esso propria, del tenore letterale della disposizione di detto diritto in questione, del contesto in cui tale disposizione si colloca, degli obiettivi di tutela a essa sottesi, nonché dello stadio di evoluzione del diritto dell’Unione nel momento in cui detta disposizione deve essere applicata.

26      Il giudice del rinvio ritiene che si debba seguire la seconda di tali alternative, in quanto essa consentirebbe di evitare di dover fornire una probatio diabolica e garantirebbe la concreta attuazione della deroga all’obbligo di rinvio, enunciata nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335).

27      Tale giudice si chiede altresì se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice supremo nazionale, il quale abbia preso in esame e respinto la domanda di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione, possa essere sottoposto, ipso iure oppure a discrezione della parte che propone l’azione, a un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

28      La risposta a tutti questi quesiti sarebbe rilevante, dal momento che il Consiglio di Stato sarebbe chiamato, nell’ambito del procedimento principale, a decidere su questioni importanti relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, la risposta alle quali non potrebbe essere ricavata dalla giurisprudenza della Corte, benché tali questioni si pongano in via meramente astratta. Infatti, il giudice del rinvio, pur escludendo l’esistenza di ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione fatte valere dalla ricorrente nel procedimento principale, ritiene di non poter dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare a tali disposizioni si imponga soggettivamente, con evidenza, anche ai giudici nazionali degli altri Stati membri e alla Corte stessa.

29      Il giudice del rinvio precisa, quindi, che lo stesso solleva la questione pregiudiziale relativa a dette disposizioni solo per il caso in cui la Corte ritenga che un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, debba conformarsi al suo obbligo di adire la Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, qualora non sia possibile dimostrare in maniera circostanziata che i giudici degli altri Stati membri e la Corte fornirebbero una risposta identica a quella individuata dal primo giudice alla questione di interpretazione del diritto dell’Unione che si pone dinanzi al medesimo.

30      In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la corretta interpretazione dell’articolo 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto [dell’Unione europea] rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea – tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto [dell’Unione europea] attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto [dell’Unione europea] al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione.

2)      Se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’articolo 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

3)      Per l’ipotesi in cui [la] Corte dovesse risolvere negativamente [le prime due questioni]:

Se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’articolo 3, numero 12, della Direttiva [2012/18] osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia [stabilita in base] ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’articolo 23 della [Direttiva 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851] o di cui all’articolo 4 della Direttiva [2010/75]), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’articolo 3, numero 11, della Direttiva [2012/18], contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva [2012/18]».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

31      Ai sensi dell’articolo 99 del regolamento di procedura, quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

32      Occorre applicare tale disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la risposta alla prima questione.

33      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, il quale, tenendo conto del fatto che il diritto dell’Unione utilizza una terminologia a esso propria, nonché della necessità di collocare ogni disposizione di tale diritto nel suo contesto e di interpretarla alla luce dell’insieme delle disposizioni di detto diritto, delle finalità dello stesso e del suo stadio di evoluzione nel momento in cui deve essere applicato, ritenga che la corretta interpretazione della disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui è investito si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio deve, per potersi astenere dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione della disposizione in parola, dimostrare in maniera circostanziata che, dal punto di vista soggettivo, gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione di detta disposizione.

34      A tal riguardo, occorre rammentare che, qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

35      Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante della Corte, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

36      Prima di concludere nel senso dell’esistenza di una situazione di tal genere, il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

37      Inoltre, la configurabilità dell’eventualità di cui al punto 35 della presente ordinanza va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

38      Si deve innanzitutto tener conto del fatto che le disposizioni del diritto dell’Unione sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

39      Infatti, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione della disposizione medesima, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le norme dell’Unione devono essere, infatti, interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

40      Se è vero che un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 44).

41      Va poi rilevato che il diritto dell’Unione impiega una terminologia che gli è propria e nozioni autonome che non presentano necessariamente lo stesso contenuto delle nozioni equivalenti che possono esistere nei diritti nazionali (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

42      Infine, ciascuna disposizione di diritto dell’Unione deve essere collocata nel suo contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni di tale diritto, delle sue finalità e dello stadio della sua evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione in parola (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

43      Pertanto, solo nel caso in cui un giudice nazionale di ultima istanza, con l’ausilio dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 36 a 42 della presente ordinanza, concluda per l’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione, esso potrà astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 47).

44      Ciò posto, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 48).

45      Tuttavia, quando l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi e tenere conto, segnatamente, dell’obiettivo perseguito dalla procedura pregiudiziale che è quello di assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 49).

46      Contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice del rinvio, dalle considerazioni che precedono non risulta che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, per poter stimare che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio e astenersi, per tale motivo, dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di detto diritto, debba «dimostrare in maniera circostanziata» che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte.

47      Infatti, da tali considerazioni risulta che i giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno devono valutare, sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione, se si trovino nell’ipotesi menzionata al punto 35 della presente ordinanza (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 50).

48      A tal riguardo, qualora un giudice nazionale di ultima istanza ritenga di trovarsi in detta ipotesi, la motivazione della sua decisione deve far emergere che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice in parola con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 51).

49      Laddove un giudice nazionale di ultima istanza, il quale ritenga di trovarsi in detta situazione, abbia maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 37 a 42 della presente ordinanza e delle considerazioni esposte ai punti da 43 a 45 della stessa, che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte condividerebbero la sua analisi, tale giudice nazionale può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità.

50      Per quanto concerne la sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), a cui fa riferimento il giudice del rinvio, occorre rilevare che, sebbene la Corte abbia affermato, al punto 51 di tale sentenza, che il giudice nazionale le cui decisioni non siano soggette a ricorso giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione, da detto punto 51 emerge che tale obbligo si impone solo qualora venga previsto, nell’ambito del procedimento principale, di avvalersi della facoltà eccezionale, in capo ai giudici nazionali, di decidere di mantenere, alle condizioni enunciate nella sentenza del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre wallonne (C‑41/11, EU:C:2012:103), taluni effetti di un atto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione.

51      Parimenti, è solo rispetto a tale facoltà eccezionale che la Corte ha dichiarato, al punto 52 della sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), che l’assenza di ragionevole dubbio relativamente all’esercizio della stessa necessita di una prova circostanziata.

52      Orbene, dagli elementi presentati alla Corte non risulta che l’esercizio di detta facoltà eccezionale sia in discussione nel procedimento principale.

53      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

 Sulla seconda questione

54      Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda o un atto introduttivo è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

55      Occorre applicare detta disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la seconda questione.

56      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di affermare la responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, laddove tale giudice abbia preso in esame e respinto la domanda, presentata da una della parti della controversia pendente dinanzi a lui, diretta a che detto giudice sottoponga alla Corte, in via pregiudiziale, una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione.

57      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte, le quali godono di una presunzione di rilevanza. Pertanto, quando la questione sollevata riguarda l’interpretazione o la validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, obbligata a pronunciarsi, salvo qualora appia manifestamente che l’interpretazione richiesta non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia ipotetico, o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari rispondere in modo utile a tale questione (sentenza del 5 maggio 2022, Zagrebačka banka, C‑567/20, EU:C:2022:352, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

58      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che il procedimento principale riguarda la contestazione, da parte di un operatore economico, di una decisione amministrativa che lo ha diffidato a presentare una notifica e un rapporto di sicurezza richiesti dalla normativa nazionale relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose e non già l’affermazione della responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno.

59      Pertanto, appare in modo manifesto che la seconda questione non ha alcuna relazione con l’oggetto del procedimento principale.

60      Ne consegue che la seconda questione è manifestamente irricevibile.

 Sulla terza questione

61      Dalla decisione di rinvio emerge che la terza questione viene sollevata solo in caso di risposta affermativa alla prima. In considerazione della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla terza questione.

 Sulle spese

62      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) così provvede:

L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea.

Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

Firme


*      Lingua processuale: l’italiano.

Provvedimento in causa n. C‑144/22 del 15/12/2022